Paolo Macry

Va pensiero
di Paolo Macry

Stato, Regioni, Comuni. A chi dare fiducia?

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La ricca discussione aperta dai lettori di Nagorà sull’autonomia differenziata mostra come Facebook non sia soltanto un’arena per ultras. E però, pur rifiutando la radicalizzazione politica del dibattito, pur prendendo le distanze dal trionfalismo della destra e dall’allarmismo della sinistra, temo che tutti noi siamo e restiamo in mezzo al guado.

Del resto, il tema non si presta a scorciatoie.

In primo luogo, c’è l’opzione originaria dei padri costituenti, che, pur dopo intensi dibattiti, fu un’opzione regionalistica. “Non dimentichiamo - ha detto Sabino Cassese - che lo Stato unitario, che aveva concentrato i poteri a Roma e stabilito assetti uniformi, era quello che avrebbe facilitato prima l'azione dello Stato autoritario. Anche per questo De Gasperi si adoperò perché lo Stato avesse un assetto regionalistico”.

Ma poi, in secondo luogo, c’è l’esperienza storica. E cioè la produttività delle Regioni e, in particolare, di quelle meridionali. Esiste, sul punto, un deficit del Sud rispetto al Nord? È questa la tesi dei classici studi di Robert Putnam. È questa la conclusione di Piero Craveri, secondo il quale le Regioni del Sud hanno prodotto inefficienza e spesa fuori controllo. “Per il Mezzogiorno la regionalizzazione ha costituito un danno pressoché irreparabile”, scrive Craveri.

In terzo luogo, neppure è possibile dimenticare l’inefficienza, la cattiva allocazione delle risorse, i fenomeni clientelari, la politicizzazione che hanno storicamente caratterizzato le istituzioni centrali. Da qui, il fiume carsico di diffidenza nei confronti dello Stato e dei partiti che segna tutta la vicenda repubblicana. Nel 1958 gli italiani che valutavano negativamente il governo erano appena il 21%, ma già nel 1974 erano diventati l’83%.

Date queste premesse, almeno per i meno faziosi, i ragionamenti sull’autonomia differenziata. Che taluni leggono come un riconoscimento delle potenzialità delle Regioni “virtuose” e come una sfida feconda per quelle meno “virtuose”. Che altri temono invece come una penalizzazione del Sud rispetto al Nord. Che altri ancora denunciano come un decentramento di competenze poco plausibili alla scala regionale, chiedendo all’opposto che lo Stato recuperi potestà legislativa esclusiva nelle materie concernenti interessi nazionali, ovvero una modifica in senso centralistico del Titolo V.

Non sembri pilatesco riconoscere che, da qualunque parte la si prenda, la materia è rischiosa. In fondo, se ci guardiamo indietro, dobbiamo riconoscere che nè lo Stato nè le Regioni sono senza peccato. E infatti nè lo Stato, nè le Regioni godono di grande popolarità. Lo Stato evoca le pastoie conservatrici delle burocrazie centrali, le Regioni il particolarismo dei territori e l’onnipotenza dei loro “governatori”.

Resterebbe da discutere (e da valorizzare?) una terza istanza di cui, significativamente, si parla poco: l’istituzione municipale, i Comuni, le Città metropolitane. E i sindaci. I quali restano le uniche figure pubbliche dotate, spesso, di un forte legame con le loro popolazioni. E cioè di una forte rappresentatività.