Paolo Macry

Va pensiero
di Paolo Macry

Paranoia culturale

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Sebbene personalmente la pensi in altro modo, difendo la legittimità del tradizionalismo, dei valori pre-conciliari, della coppia eterosessuale, ecc. Sì, Dio, patria, famiglia. E ritengo intollerabile la supponenza con la quale i “progressisti” stigmatizzano tutto questo. Intollerabile irridere quella cultura, che si tratti di Maometto o di Gesù.

Ma le polemiche sulla cerimonia d’apertura dei Giochi olimpici sembrano decisamente sopra le righe.

Si sono ribellati i cattolici. Dalla Conferenza episcopale francese, che ha deplorato “le scene di scherno del cristianesimo”, al quotidiano ‘Avvenire’ che si è chiesto addirittura perché “dover vivere ogni singolo evento planetario come se fosse un Gay Pride".

Si sono ribellate le destre. Da Salvini (“aprire le Olimpiadi offendendo miliardi di Cristiani è stata una pessima scelta”) al dirigente di FdI Massimo Foti (“avanspettacolo blasfemo”), fino al ministro Sangiuliano, che si è avventurato in una dotta difesa dell’Ultima cena di Leonardo, a suo giudizio “dileggiata volgarmente” dallo show parigino.

Allo scandalo ha risposto Thomas Jolly, l’ideatore dello show, chiarendo in particolare che l’ispirazione del tableau incriminato non era l’Ultima cena: “l'idea era piuttosto quella di una grande festa pagana legata agli dei dell'Olimpo, penso che fosse abbastanza chiaro, non a caso c'era Dioniso, il Dio della festa e del vino”. Nessuna offesa all’iconografia cattolica, dunque.

Basterà per chiudere la polemica? O il problema è uno spettacolo trasgressivo, beffardo, estremo, che costituiva una carrellata artistica della storia della Francia rivoluzionaria, laica, libertaria, multiculturale? Capisco le perplessità che abbiano potuto suscitare la performance di Aya Nakamura, la Maria Antonietta decapitata che canta Ça ira, la sfilata delle drag queen, il Dioniso seminudo. Ma si trattava di una lettura del mondo contemporaneo. Una delle letture possibili. E la reazione furente dei cattolici e delle destre ne dimostra un’intolleranza simmetrica a quella dei “progressisti” nei loro confronti. E (peggio ancora) una certa, ricorrente, autolesionistica paranoia culturale.