Paolo Macry

Va pensiero
di Paolo Macry

La posta in gioco

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In Europa e in Medio Oriente infuriano conflitti militari, che sono destinati a pesare sul nostro futuro e che richiederebbero perciò, da tutti noi, scelte lucide e lungimiranti.

Di fronte alla guerra e ai morti, tuttavia, non è facile ragionare in termini politici, mettendo da parte riflessi psicologici, umanitari, ideologici. Mettendo da parte la paura della Russia, o la pietà per i bambini di Gaza, o il richiamo cattolico alla pace, o la convinzione che sia l’Occidente ad avere ogni “colpa” (storica e attuale).

Ma nè la pietà, nè la paura, nè le remore ideologiche sono mai state decisive sul piano geopolitico. Non è così che fu vinta la guerra contro il nazifascismo e poi contro il comunismo sovietico. E non è così che si metterà fine all’imperialismo di Putin o alla destabilizzazione medio-orientale perseguita dall’Iran.

C’è chi, nel chiedere la pace, fa il conto delle vittime, quanti ucraini, quanti russi, quanti israeliani, quanti palestinesi. Quasi che abbia “ragione” chi ha sofferto il maggior numero di vittime. Ma il nodo è un altro. Si tratta di capire qual è la posta in gioco, ovvero cosa significhi vincere o perdere. E la posta in gioco, in questo tornante epocale, è niente di meno che la sopravvivenza della democrazia liberale, cioè dei nostri valori, del nostro modo di vivere, delle grandi e piccole libertà di cui godiamo quotidianamente. Il che, ci piaccia o meno, coincide oggi con la sopravvivenza dell’Ucraina e di Israele.

In Italia, il dibattito pre-elettorale verte su Toti, il superbonus, l’autonomia differenziata, ecc. Ma il 9 giugno, in realtà, saremo chiamati a esprimerci anche e soprattutto sul ruolo dell’Europa nelle attuali grandi crisi geopolitiche - cioè sull’Ucraina e su Israele.