La nuova stazione di Afragola diventerà uno strategico hub ferroviario. Ma lo diventerà, ecco il punto. Per ora accoglierà solo 36 treni al giorno, che sono nulla rispetto ai 400 di Roma-Tiburtina o ai 500 di Napoli-Garibaldi . Per non dire dei collegamenti pubblici che ancora mancano (quelli su ferro) o che ancora si ipotizzano (quelli su gomma). Ma davvero non era possibile fare meglio? Del resto, è indicativa la diversa valutazione fatta da Delrio e De Luca il giorno dell’inaugurazione. “Mi fanno ridere quelli che parlano di una stazione isolata”, ha detto il ministro. “Afragola è un gioiello isolato”, ha commentato il governatore. Eppure, erano lì, uno vicino all’altro, e parlavano della stessa cosa.
Per il momento, Afragola è dunque solo un simbolo. Punto. È sicuramente il simbolo di uno Stato che torna a investire al Sud; di una modernità griffata che è sempre meglio di una modernità sciatta; e di un progresso capace di viaggiare, volendo, ad alta velocità. Ma non solo. Più in generale, sommando tutto ciò che si appena detto, la nuova stazione è anche molto di più. Rappresenta un’idea di sviluppo alternativa a quella fin qui avvalorata, per intenderci, dalla Napoli di de Magistris. Da una parte, abbiamo il progetto “futurista”; dall’altra quello “dadaista”. Ad Afragola ci sono i treni superveloci, le grandi infrastrutture. A Napoli l’estasi della passeggiata, l’incanto del lungomare. Perché tra i due modelli possa ora nascere una sana competizione è però fondamentale che la sfida non sia impari. E invece, mentre quello “dadaista” comincia a rivelarsi produttivo con i suoi ristoranti pieni e con i suoi turisti entusiasti, quello futurista rischia di partire col piede sbagliato.Così com’è, infatti, la stazione di Afragola è una cattedrale nel deserto. Salvemini non l’avrebbe definita diversamente. E illudersi del contrario potrebbe pregiudicare la vittoria dei futuristi © Marco DemarcoEditorialista Corriere della Sera-
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