L'ultimo libro per capire Napoli? Ha più di 40 anni

di

E se, piuttosto che aspettare che la città si ribagni a mare e litigare tra renziani e demagistrisiani (cioè tra rottamatori e scassatori, entrambi a corto di sostenitori nel club esclusivo dei maitre-à-penser per lo più disoccupati in cui ci siamo ritrovati), non provassimo ad allungare il tiro – lo sguardo e possibilmente la biro – e invece di far le pulci agli anni ci misurassimo con i decenni? Mixando le discipline, gli approcci, i linguaggi. Secondo la metafora di cui altre volte mi sono servito, facendo fare cioè corto circuito alla buona e alla cattiva notizia.Evviva la politica, che cambia il mondo in cinque anni, mentre la sociologia per modificare ruoli, classi e grandi aggregati ha bisogno di una generazione, mannaggia alla antropologia – la cultura – che se e quando si trasforma ha bisogno di tre quarti di secolo. Peccato che del grande iceberg, quasi tutto nascosto, che noi siamo, l a politica cambi solo la punta, si e no il cinque per cento . La sociologia trasforma il venti. Il resto, quello che davvero conta, resiste al bassolinismo e al savianismo . E per sapere se si sta spostando occorrono altre lenti di quelle con cui inforchiamo il cellulare o l’iPad.

Se dovessi consigliare a qualcuno l’ultimo libro che spiegava Napoli , con categorie socioculturali adeguate e anche abbastanza buon senso politico, è quello di Percy Allum. Ricordate? Potere e società, la presentazione a Feltrinelli più di quarant’anni fa… E l’icastica semplicità della coppia di Toennies con cui inquadrare – Gemeinschaft e Gesellschaft – la tensione tra vecchio e nuovo. E anche la commistione. Se preferite, la compromissione. Ed oggi, dopo la dismissione, chi siamo? Chi siamo diventati, oppure residuati? Ecco, non vedo in giro – ma con gli anni, forse, si diventa miopi – la mente potente – e volente – per raccogliere cotanta sfida. Ma chissà, una mente collettiva…