Napoli e il mare: storia di un amore contrastato

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Napoli è una delle tante città che per formazione e storia ha avuto un rapporto controverso con l’acqua che la lambisce. Lo chiarisce bene una mente acuminata come quella di Sciascia che, descrive la relazione complessa tra le città siciliane e un mare che "[…] sulle onde porta alle nostre spiagge invasori d’ogni parte e d’ogni razza […]”.

E così è stato, nell’antichità, anche per Napoli, città troppo a lungo compressa dalle proprie mura verso l’entroterra e verso il mare. Il mare è stato la via di fughe avventurose come quella di Vannella Gaetani, dallo scoglio di San Leonardo in Insula Maris per sfuggire alle ritorsioni di Re Ferrante d’Aragona tradito dal marito in una congiura di palazzo. E, ancora, il mare è stato un vago orizzonte da scrutare con apprensione per il profilarsi improvviso delle vele d’invasori e pirati. Questa era la giornata di Chiaja nel ‘500, quando il silenzio del borgo extramoenia dall’ "[…] aspetto tra campestre e marino […] una molle arena sulla quale riposano le barche e si asciugano al sole le reti dei pescatori […]” come ricorda Croce, poteva essere rotto dal grido stridulo e disperato che annunciava le scorrerie moresche.

Non a caso, è dall’incursione del rinnegato Ucciali Pascià nel 1564, che, in fondo alla Riviera, vigila la Torretta, una costruzione di tre piani di cui si conserva il toponimo e sul cui sedime sorge l’attuale edificio realizzato durante il regime fascista.  

Il progressivo sorgere di una palazzata continua di case dell’aristocrazia per cui Chiaja era luogo di villeggiatura a ridosso delle case dei pescatori, determinò quel carattere interclassista che il borgo, in parte, conserva tuttora a dispetto di una lettura convenzionale. La fase del loisir, del mare come luogo del divertimento e del tempo libero, che già dalla fine dell’Ottocento si affermava in Francia ed Inghilterra, non ebbe richiamo sull’amministrazione locale impegnata, piuttosto, a sciogliere uno dei nodi tuttora carenti dell’urbanistica napoletana, un collegamento efficace tra la zona Est e la zona Ovest della città, e a risolvere i problemi igienico - sanitari determinati dalla spiaggia priva di fognature.

Fu così che dopo complesse vicende una colmata cancellò l’antica plaja e si realizzò via Caracciolo completata nel 1883. Un intervento che, se cercava di dare soluzione alla viabilità Est - Ovest, dall’altro metteva un’ipoteca definitiva sul ripristino della balneazione eliminando del tutto un retroterra adeguato e spazioso come quello della Croisette a Cannes o de la Promenade des Anglais a Nizza. Oggi, quello che dovrebbe essere chiamato Lungomare Francesco Caracciolo, in ricordo dell’ammiraglio fatto giustiziare da Nelson ingelosito dalla sua abilità manovriera secondo Pietro Colletta, si presta ad essere una meravigliosa passeggiata diurna e notturna dalla Chiesa di Santa Maria del Parto a Mergellina a Castel dell’Ovo. Basterebbe poco per valorizzarlo: far risorgere la Villa dalla sua decadenza tenendola aperta giorno e notte protetta da adeguata vigilanza, un arredo urbano sobrio, un’illuminazione efficace e discreta. E utilizzare in maniera conveniente l’abbandonata Stazione di Mergellina, un edificio eclettico impreziosito da raffinate opere di ebanisteria, dando seguito alle ipotesi contenute nell’Accordo di Programma firmato nel lontano 2004 che ne prevedevano il potenziamento e la realizzazione di un parcheggio d’interscambio nel piazzale antistante.

Molto diversa è la situazione delle due grandi aree dismesse ad Ovest e ad Est, dove, come in molte altre situazioni urbane, sono state le esigenze della Modernità e dell’industrializzazione a creare una barriera tra la città e il mare. Bagnoli, balneolis nell’antichità, era un piccolo centro termale che nei secoli successivi presentava quel paesaggio misto, campestre e marino, fatto di orti coltivati fino a ridosso della sabbia e di qualche dispersa casa colonica. Alle spalle, l’area di Cavalleggeri Aosta che fino al Secondo Dopoguerra era terra di frutteti fino a quando i proprietari non hanno lottizzato a favore delle Cooperative, dell’Inail, dello Iacp.

I progressivi insediamenti industriali fino all’arrivo della siderurgia pesante lasciarono un “ultima spiaggia” negli anfratti a ridosso di Coroglio.

Da trent’anni i napoletani attendono che il luogo più adeguato a ripristinare un lungomare che abbia lo spazio necessario ad ospitare una passeggiata alberata pedonale, ciclabile e veicolare e, soprattutto, una grande spiaggia pubblica, prenda finalmente forma. Da poco si è riaperta l’annosa questione dell’”enigmatica” colmata che sembra, adesso, essere oggetto di due opzioni: conservazione totale o parziale. Non senza proteste da parte dei movimenti ambientalisti che ne reclamano la completa rimozione.

Dalla parte opposta, ad Est, S.Giovanni a Teduccio offre altrettante possibilità sia pure in un litorale fortemente condizionato da un’urbanizzazione selvaggia e dalla barriera creata dal fascio di binari. La presenza del Porto di Vigliena, e delle infrastrutture della zona orientale, potrebbero essere i binari su cui collocare un apparato industriale rivolto al diporto motonautico che crea posti di lavoro stabili e con forti ricadute nell’indotto: guardiania, rimessaggio, manutenzione dei natanti, cantieristica.