Quel paradiso che appassisce tra abusi e inciviltà

Tra spiagge interdette eppure prese d'assedio, discariche a cielo aperto, edifici abbandonati e movida selvaggia, Nisida è una promessa tradita

di

Una striscia di terra gettata verso l’isola che non c’è. Tutt’intorno, mare. Mare e ancora mare. «Mare fuori», come quello della serie tv che ha spinto fin qui tele-turisti e curiosi da tutto il mondo. In questo lembo di città baciato dal cielo, però, oltre ai ragazzi esiliati sull’isolotto c’è molto altro da recuperare. Ad inquinare la vista e l’olfatto di chi spinge i propri passi fino a via Nisida è l’affaccio sulla montagna di rifiuti che punteggia come un penoso filo d’Arianna un percorso lungo il quale incontri edifici inagibili - eppure regolarmente frequentati - e una spiaggia non balneabile popolata di persone, con tanto di servizio bar. Un inno all’abusivismo che, con la riconquista illegittima e insieme disperata di spazi negati all’infinito, mette un asterisco grosso così sull’inerzia delle istituzioni.

Un degrado che il solleone estivo evidenzia impietoso, facendo imputridire in poche ore i mucchi di “monnezza” accatastati agli angoli della strada. Ce n’è uno enorme sotto una palazzina diroccata che affaccia sull’incanto del golfo e farebbe l’invidia di molti. «Una volta ospitava un cantiere navale, ma è dagli anni ‘80 che sta così», riferisce Vincenzo Dario, uno dei gestori del bar Naif. Sotto la rete di contenimento, il cartello sul muro avverte: «Divieto di accesso. Pericolo in corso». Ma il pericolo è «in corso» da tempo immemorabile. Tanto che l’acqua ha divorato la base delle colonne e la rampa che era oltre il cancello si è sgretolata nel mare. «I ragazzini scavalcano per fare i tuffi da lì sopra: è pericolosissimo, diversi di loro si sono fatti male», dice il gestore del bar. La stessa sorte è toccata al Lido Pola, epicentro delle notti d’estate negli anni ‘90. Oggi il portoncino di ferro al civico 24 di via Nisida si apre sui calcinacci di una scalinata sgarrupata. Più a destra, resiste la rotonda spalancata sul mare che guarda Procida. Chiuso circa trent’anni fa, il Lido è stato prima uno stabilimento balneare, poi un locale notturno e un ristorante. Dopo l’abbandono, ha preso casa qui il movimentismo della Napoli occidentale: con il Centro sociale Iskra e il collettivo Bancarotta, le porte si sono riaperte per “cene sociali”, spettacoli e feste. «Lo hanno un po’ ripulito, ma quel posto è fatiscente e pericolante - avverte il gestore di un locale del posto -. Lì sotto è tutto fradicio, prima che qualcuno ci rimetta la pelle, bisognerebbe intervenire». Se ti domandi sotto il Lido Pola che ci sta, basta puntare lo sguardo sotto il livello della strada: vere e proprie catacombe traboccanti di rifiuti stoccati qui sotto nei secoli dei secoli, con buona pace della transizione ecologica. «C’è di tutto: materassi, sacchetti, lavatrici, elettrodomestici. Da anni, i locali del quartiere vengono a sversare qui. I rifiuti occupano il piano interrato per l’intera superficie dello stabile, centinaia di metri quadri», si rammarica un’attivista, spiegando che gli unici a fare qualcosa per opporre un argine al declino sono loro: «Sì, organizziamo eventi per autofinanziare le nostre attività di recupero della struttura: qui dentro ci stiamo da oltre dieci anni, il Lido Pola è un po’ casa nostra», spiega la volontaria.

Anche la tintarella qui è fuorilegge. A Cala Badessa, pochi metri più avanti, la spiaggia sulla quale incombe il costone di Posillipo dovrebbe essere deserta. Invece, sotto la grande tabella gialla assicurata alla roccia che avverte «Attenzione, pericolo. Specchio acqueo interdetto. Aria di mare demaniale interdetta», i bagnanti continuano a raccogliersi come se niente fosse. È il mare della Napoli popolare, un lido Mappatella traslato di qualche chilometro ad Ovest. In una torrida mattinata di luglio, il corpo reclama la brezza marina, e se quello che cerchi ce l’hai a pochi passi da casa, la tentazione diventa irresistibile. A ora di pranzo, sotto gli ombrelloni si compongono tavolate a due passi dalla riva, piedi nella sabbia e occhi nel mare. A suggellare la riappropriazione, in questo paradiso proibito solo sulla carta continua a prosperare una piccola economia di quartiere: open bar con drink e aperitivi, noleggio di kajak e gommoni, di ombrelloni e sedie a sdraio. «Avevano costruito un muro di cemento per inibire l’accesso alla spiaggia, lo hanno abbattuto. Le famiglie di Bagnoli con queste attività ci campano da generazioni», spiega un abitante del posto. «Peccato - chiosa -, in fondo basterebbe poco per mettere le cose a posto e creare vero sviluppo, con tanti posti di lavoro regolari».

«Nisida è un’isola e nessuno lo sa», solfeggiava sulle onde di un motivetto reggae agrodolce Edoardo Bennato, che di Bagnoli è figlio e già quarant’anni fa sentenziava in musica: «Nisida è un classico esempio di stupidità». In questo eden a portata di Cumana, oggi approdano le barche che vanno e vengono da Capri, Ischia e Procida. Chi torna dalla gita a pelo d’acqua, arrivato al porticciolo, si disfa come può dei resti del pasto consumato a bordo. «Fino all’anno scorso fa venivano tutti a depositare qui i sacchetti, poiché non c’erano i bidoni. Da quando la gestione è passata dall’Asia alla Sapna, ci hanno imposto i secchi per la differenziata, minacciando multe per chi trasgredisce - raccontano alla Lega Navale -. Ma se gli ormeggiatori sono in gran parte abusivi - domandano -, come facciamo a controllare se quelli che lasciano l’immondizia per terra sono nostri iscritti?». Al bar Naif oppongono gli stessi argomenti: «Il rischio è quello di pagare anche per i rifiuti che non produciamo. E comunque ci sono ancora montagne enormi di spazzatura, non ci sono bidoni e nessuno viene a ritirare i rifiuti. Noi spazziamo tutte le mattine, altrimenti qua non si potrebbe stare. E per molto tempo, per non soccombere nella sporcizia, abbiamo dovuto caricare i sacchi in auto e smaltirli nelle campane di via Cattolica». Gennaro Giamia, uno dei titolari del Naif, mostra le foto che ha scattato col cellulare. «Guardate, tra i sacchetti c’era anche un topo morto. A pochi metri dal nostro ristorante», si indigna. L’inciviltà dei bagnanti, comunque, resta. «Soprattutto il sabato e la domenica, sbarcano centinaia di persone, e ognuno porta il suo contributo. C’è tanta produzione di rifiuti indifferenziati e i bidoni sono pochi, così la spazzatura è ovunque, arriva fino a Nisida», racconta Fabiana, che lavora al Nero cafè. «È vero, non vengono a recuperare i rifiuti ogni giorno, ma il problema più grande è la civiltà della gente: nessuno si preoccupa di differenziare. Per non parlare delle macchine parcheggiate in terza e quarta fila».

Quando la settimana volge al termine, infatti, alla fetida eredità del mare si somma quella della movida. Sparsi qua e là sull’asfalto e sul muretto lì di fronte, trovi i resti di una notte alcolica: bottiglie, bicchieri di plastica mezzi pieni, lattine, pacchetti di sigarette, fazzoletti, buste e altro materiale di risulta assortito. Accanto ad una delle stazioni di questa via crucis del pattume incontri tre ragazze americane. «Volevamo vedere il posto di “Mare fuori”: è magnifico, peccato che sia tenuto male. Da noi brillerebbe», si stupiscono.

In compenso, la notte di Coroglio brilla di luci riflesse: quelle dei fari delle auto incolonnate alla ricerca di un posto. A raccontare le invasioni barbariche che infestano la zona è Giovanni, che qui vive e lotta da cinquant’anni. «Negli 800 metri lineari che vanno da discesa Coroglio a via Nisida sono state rilasciate licenze per dieci discoteche. E non c’è un’area di sosta», fa notare. Manco a dirlo, mentre dilaga la sosta selvaggia, la strada diventa il regno dei parcheggiatori abusivi. «Per loro è una pacchia: di sera pretendono 5, anche 10 euro a auto e fanno lasciare le macchine ovunque», continua esasperato. Da Coroglio a cordoglio, insomma, è un attimo. «Nel fine settimana, e in estate quasi tutti i giorni, noi residenti siamo sepolti vivi in casa - rafforza il concetto un altro indigeno -. Se esci, già sai che al ritorno non troverai un posto per parcheggiare. Le istituzioni si sono dimenticate di noi, ci sentiamo abbandonati. Hanno istituito un’area pedonale, che tra l’altro molti eludono coprendo la targa, pensando di risolvere tutto con dieci strisce blu. Eppure qui, a differenza di altre zone, ci sono chilometri di terra inutilizzata dove si potrebbero realizzare dei parcheggi». Gli fanno eco i titolari del Naif: «Soprattutto quando i locali su via Coroglio organizzano serate con dj noti, si crea un gran caos. Per uscire con l’auto da via Nisida, puoi metterci anche un’ora», assicurano.

Laggiù, sul pontile che si allunga verso Nisida, i ragazzi del quartiere hanno dipinto di rosso, giallo e azzurro l’orizzonte della speranza: «Questa terra è tua, amala e difendila», c’è scritto sul muro che costeggia il mare. Un appello che, finora, è rimasto inascoltato.