L’unicità delle città di mare

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Dove c’è il mare c’è la bellezza della storia, della polis e della politica, della geografia, dell’architettura e soprattutto della vita delle popolazioni.  Della città “mediterranea” in particolare si è scritto di tutto ciò  ma  appena ci liberiamo dal peso di questa immagine preformata e proviamo ad interrogarci sul senso profondo dello sviluppo urbano affiorano dubbi che con il tempo assumono i contorni di  un interrogativo. E’ possibile riportare a sintesi immagini delle città arabe, turche e balcaniche, eredi di culture molto diverse? Piuttosto vedeva giusto Fernand Braudel nel suo “Mediterraneo” del 1987 quando scriveva che …” il Mediterraneo è un insieme di vie marittime e terrestri collegate fra di loro, e quindi di città, che dalle più modeste, alle maggiori, si tengono tutte per mano”.

Le nostre città come spesso abbiamo avuto modo di segnalare a proposito di Napoli, non possono essere descritte in maniera neutrale quanto piuttosto appare opportuno assumere come ipotesi di conoscenza il mutamento che valorizza le differenze e la pluralità dei quadri urbani oltre ad attivare un processo di contaminazione tra le diverse culture locali.  L’innovazione economica ed urbanistica non sostituisce la tradizione ma la incorpora per offrire nuovi paesaggi fisici ed assetti produttivi.

Se sostituiamo alla omogeneità visiva offerta dall’occhio del satellite un’analisi della complessità sociale di Napoli, se analizziamo le cause del lungo “inverno demografico”, se prendiamo atto della deindustrializzazione  urbana e dell’ affermazione  di un terziario troppo spesso “straccione”, allora  urge un cambio di paradigma che tenga conto di tutte le interazioni tra le nuove espressioni sociali e gli assetti fisici della città. Non basta più limitarci con orgoglio a descrivere la “bellezza” del nostro mare e del suo retroterra ricco di storia e cultura, ma guardare in maniera razionale ai grandi cambiamenti che vanno definendosi in tutta intera la Città Metropolitana in una prospettiva internazionale e globale. L’imprevedibilità e la velocità del cambiamento che sfugge a qualsiasi progetto di pianificazione “dall’alto” induce a prefigurare immagini di un futuro possibile e ad interrogare per il loro tramite il presente. Un tale processo di conoscenza e di azione non può che assumere i caratteri della interdisciplinarietà, l’unica strada che, a sua volta, rende ineludibile il “pensare insieme” come risposta ai bisogni emergenti sul piano economico e sociale. Nel caso napoletano segnali confortanti in questa direzione si intravedono in episodi di collaborazione tra tutti i responsabili dello sviluppo locale, in primis tra il mondo dell’impresa e le istituzioni cittadine. I tanti progetti in corso (vedi il riassetto urbanistico e funzionale di Napoli Est) o in fase di concreta progettazione (in primis il definitivo recupero dell’area occidentale) alimentano con la dovuta prudenza speranze a lungo consegnate all’oblio. Con la prospettiva che Napoli possa restare, pur nell’irreversibile cambiamento in atto un caposaldo di quella catena di città mediterranee che “si tengono tutte per mano”. Magari non solo per la bellezza del suoi mare ma anche per la sua innata propensione all’accoglienza ed al dialogo con tutte le comunità che si affacciano sulla “grande pianura d’acqua “.