Dopo la caduta del muro, una congerie di fenomeni travolge la capitale tedesca, per oltre 40 anni vera e propria prima linea tra il capitalismo occidentale ed il comunismo sovietico. Tra questi la significativa migrazione degli Ossie, gli abitanti di Berlino est, che si spostano in massa verso la parte occidentale della città: una Berlino ovest oggetto di un desiderio a lungo vagheggiato, ricca di seduzioni, a volte di illusioni, finalmente accessibile.
Una delle conseguenze è il rapido svuotamento di molti edifici al cui interno s’insediano composite comunità di Hausbesetzer, letteralmente “occupatori di case”: squatter, ex-dissidenti, punk, seguaci di culture alternative o underground, animati dal bisogno di trovare una residenza e dal desiderio di dare vita ad attività collettive ed iniziative culturali.
Le case occupate di Berlino Est diventano uno dei tanti fenomeni dell’euforia non priva di contraddizioni che segue alla caduta del muro. Simbolo popolare che contribuisce a definire il carattere ambivalente di una città dove è finita la separazione fisica ma non quella tra ordine ed anarchia. Nei quartieri dove è significativa la presenza di edifici occupati nascono centri per l’informazione, attività commerciali alternative, cooperative e aumentano le occasioni d’intrattenimento in quegli spazi aperti pubblici troppo a lungo negati. È un moltiplicarsi di concerti, eventi, incontri, dibattiti a volte spontanei. Non manca, nell’opera di ristrutturazione dei caseggiati operata dagli stessi occupanti, un’attenzione all’aspetto ecologico che si esprime nel contenimento dei consumi, nel recupero delle acque piovane, nell’utilizzo dell’energia solare. In linea con lo spirito comunitario, prevale la condivisione degli spazi come cucine, giardini, punti d’incontro e nella gestione di servizi.
Il carattere più spiccato, che segnala immediatamente le case occupate sullo sfondo del panorama urbano, è la vivace decorazione dei prospetti che si trasformano in scenari vagamente surreali. Una street art fatta di slogan politici tratteggiati a lettere enormi, visioni psichedeliche, composizioni naïve, squarci di cieli azzurri. E questo proprio in una città per certi aspetti austera, la Berlino di pietra dell’IBA, dell’unità nella varietà, del ripristino della continuità tra isolato urbano e strada che tanta importanza ha avuto nel dibattito teorico dell’architettura tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80.
All’interno della Germania lo spirito berlinese si è sempre contraddistinto per una piccante vivacità culturale e leggerezza ironica. L’iniziale tolleranza favorita dall’effervescenza libertaria della riunificazione, tuttavia, si affievolisce e si reclama un ritorno all’ordine. Ecco che s’innesca una vera e propria guerriglia urbana che ha il suo centro nella Mainzer Strasse dove si fronteggiano in scontri polizia ed occupanti.
Negli anni 2000, in considerazione degli aspetti positivi di un fenomeno comunque illegale, la municipalità di Berlino ha finanziato la creazione di associazioni che hanno acquisito gli edifici per trasformarli in cooperative. Questa “legalizzazione” ha permesso ai residenti di continuare ad usufruire di abitazioni a canone irrisorio favorendo la nascita di attività collettive.
In un territorio come il nostro, una delle maggiori urgenze è il ripristino della legalità. In particolare, se consideriamo che l’abusivismo è un fenomeno che ha radici che risalgono al divieto, puntualmente disatteso, imposto dalle prammatiche sanzioni di costruire “extra moenia”. Oggi è un fenomeno endemico che alligna in un torbido brodo di coltura fatto di complicità, tolleranza, assenza di risposte a domande legittime. Un fenomeno che ha sviluppato tecniche di autodifesa che vanno dalla resistenza passiva ad ingegnose forme di contrasto all’intervento delle Autorità.
Eppure la lunga ed intricata vicenda berlinese potrebbe offrire spunti interessanti. Il nostro panorama urbano è caratterizzato da luoghi ed edifici abbandonati che si stenta a recuperare perché non sempre offrono ad investitori privati la possibilità di ricavare un giusto profitto. Esiste, tuttavia, una forte domanda di attrezzature collettive, luoghi di aggregazione e di assistenza, spazi per il tempo libero.
Una soluzione come quella berlinese di favorire con interventi pubblici il recupero di questi luoghi o la legalizzazione delle occupazioni tutelando, al tempo stesso, i legittimi interessi dei proprietari potrebbe essere una possibilità da esplorare.
© Riccardo RosiSegretario InArch Campania