Esclusione sociale e declino urbano nell'area metropolitana di Napoli

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"Periferia" è un termine abbastanza abusato, una sorta di espressione sintetica di quel "declino" che caratterizza tante città post-industriali tra le quali Napoli occupa un posto di primo piano e che appare come il risultato dell'agire di tre grandi processi ad alta valenza strategica per la costruzione della città futura, vale a dire: crisi economica, erosione dei diritti di cittadinanza, disordine territoriale. 

Mentre la deindustrializzazione dell'area napoletana e l'avvento di un "post-fordismo straccione" sono stati già abbastanza indagati ed il riordino territoriale appare all'attenzione dell'opinione pubblica, minore interesse è rivolto all'esclusione sociale che tende a manifestarsi sempre più in rapporto alla concentrazione delle nuove "classi pericolose". Si tratta di quel surplus di umanità difficilmente integrabile nel nuovo modello socio - economico che in maniera spontaneo va definendosi in ampi spazi della città metropolitana, ancora in costruzione tra mille equivoci e ritardi. 

E' ben noto che l'esclusione e la segregazione spaziale alimentano un circolo vizioso fatto di sentimenti di rancore, di paura e soprattutto di richiesta di sicurezza che a loro volta enfatizzano la logica dell'emergenza e di conseguenza inducono la metamorfosi della "questione sociale" nel più generale declino urbano. 

Eppure le periferie rappresentano le città del futuro, dove si concentra quel "capitale umano", fatto di giovani, di creativi, di animi inquieti che dovrebbero rappresentare la "materia prima" del nuovo modello di sviluppo delle città incardinato su attività immateriali e relazionali in un contesto di eco-compatibilità ambientale. 

C'é dunque bisogno non solo di una gigantesca opera di "rammendo territoriale" affidato all'architetto (che a dirla con Renzo Piano "..è un mestiere politico" ) ma anche di un grande sforzo in direzione di un "rammendo sociale", fatto di inclusione e non esclusione, di creazione di nuove forme di cittadinanza, di ridefinizione del tradizionale paradigma territoriale  "centro - periferia".

Essere esclusi non  significa, come si è soliti pensare, essere poveri dal punto di vista economico, quanto piuttosto di far parte di quella platea di residenti tra i 15 e 52 anni che non hanno completato il ciclo della scuola secondaria di primo grado; di rientrare nell'esercito dei NEET (i giovani tra i 15 e 29 anni) che non studiano e non lavorano; di far parte di nuclei familiari che hanno come unico  riferimento un under 65 e  nessun membro occupato o pensionato. 

La forte correlazione tra questi indicatori definisce il livello di degrado di una comunità locale ed è assunta alla base del lavoro della "Commissione parlamentare sulle periferie urbane" che permette un interessante confronto tra le tre maggiori aree metropolitane del nostro Paese, vale a dire Milano, Roma e Napoli

Roma esprime tale indice sintetico al 4% nel proprio hinterland, a fronte di un 2% nei quartieri centrali. 

Milano, invece, si caratterizza per un indice molto più contenuto (il 2% in media) sia in città che nella sua conurbazione, con leggera  prevalenza per alcuni quartieri del centro cittadino. 

All'opposto e più preoccupante appare la situazione di Napoli, dove l'indice si aggira intorno al 20% nei quartieri di San Pietro a Patierno, Scampia e Piscinola e risulta minore solo di un paio di punti nei grandi comuni dell'hinterland (Melito, Caivano, Sant'Antimo). Sotto il 5% si annoverano, invece, i quartieri "borghesi" del capoluogo ( Posillipo, Chiaia, Arenella, Vomero e San Giuseppe) mentre Capri e la penisola sorrentina si attestano intorno ad  un più che accettabile 2% in generale.

La conclusione consolatoria di tale processo di marginalizzazione economica ed esclusione sociale che appare per molti versi irreversibile nell'area metropolitana di Napoli forse la si può ritrovare in quanto già nel 1974 scriveva Jonathan Raban in Soft City a proposito della città post-moderna che "... piuttosto che dedita alla razionalità calcolatrice assomiglia ad una serie di palcoscenici … e quindi è un posto troppo complicato per essere disciplinato"  ed  ammoniva ".... a rifarla in una forma in cui si possa vivere. Decidete chi siete e la città assumerà nuovamente una forma intorno a voi".

Ma chi e quando a Napoli deciderà quale città saremo in grado di lasciare in eredità alle prossime generazioni?