Massa (Msc):"La rotta è giusta, ma sono ancora tante le occasioni da cogliere"

Il manager detta le priorità: «Destagionalizzare il turismo, programmare gli eventi e portare la cultura del mare nelle aree interne»

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La testa è a Ginevra, dove il mare nemmeno s’intravede. Il cuore, però, batte a Napoli, nel golfo in cui le navi Msc portano ogni anno più di 500.000 passeggeri. A cinquant’anni dalla sua fondazione, il gruppo Mediterranean Shipping Company, leader al livello mondiale nel mercato delle crociere e attivo anche in diversi altri ambiti (oggi controlla, solo per fare alcuni esempi, Snav, Gnv, Caremar e opera nel settore delle navi cargo), è un fiore all’occhiello dell’industria italiana e campana.

Ma le sfide produttive che mettono al centro il Mediterraneo, opportunità cruciale per il futuro di un’Europa che ha scoperto di essere un colosso fragile, e che nel suo mare può ritrovare la propria forza, devono fare i conti con le esigenze di salvaguardia dell’ambiente e con una sostenibilità che va anche oltre le istanze ecologiste. «Sono questioni che ci vedono impegnati da tempo, il nostro armatore Gianluigi Aponte ha stabilito un obiettivo ambizioso: arrivare al 2050 con emissioni zero», spiega Leonardo Massa, vicepresidente della divisione Southern Europe di Msc.

L’economia del mare rappresenta il 9% del Pil nazionale, il 12% del Pil europeo e muove circa il 90% degli scambi mondiali. E i margini di crescita sono ancora tutti da esplorare. Tuttavia, per alimentare uno sviluppo virtuoso gli investimenti economici non bastano. Bisogna aggiungere, sostiene Massa, quelli culturali per allargare una visione miope, facendo in modo che le acque del Mare nostrum arrivino a “bagnare” anche le aree interne. E bisogna lavorare perché quell’onda benefica si allunghi oltre i mesi estivi. Su queste premesse, il manager stila un glossario minimo di concetti utili a rilanciare le sfide oltre la linea dell’orizzonte: diffondere (prodotti, materie prime, culture), ampliare, destagionalizzare.

L’Italia e Napoli hanno una posizione strategica nel Mediterraneo, l’economia marittima rappresenta il 9% del Pil nazionale (il 12% del Pil europeo e muove l’85-90% degli scambi mondiali. I porti sono fondamentali: il 40% degli scambi di import-export avviene via mare, salendo al 46% nei porti del Mezzogiorno). Le potenzialità del mare sono ancora poco utilizzate? Quanto sono rilevanti i margini di crescita?

«Credo che ci siano ancora importantissimi margini di crescita per tutto quello che è collegato all’economia del mare, a. Chiaramente il mio è un approccio legato all’ industria delle crociere, ma credo che l’economia del mare possa rappresentare a 360 gradi il vero oro blu di questa regione e di questa nazione, poiché ci dà una proiezione verso l’esterno dalla quale oggi, in un’economia globale, un qualsiasi Paese che come l’Italia voglia guardare al futuro con forte ottimismo non può prescindere. Sono assolutamente convinto del fatto che il mare rappresenti già adesso un importante sbocco economico, ma più ci impegneremo e lavoreremo per metterlo al centro delle strategie, più diventerà non solo una straordinaria opportunità commerciale per il nostro Sud e per tutto il Paese, ma anche una straordinaria opportunità occupazionale, altro argomento che mi sta sempre molto a cuore».

Per una città come Napoli, quali sono i vantaggi e quali le criticità di uno sbocco a mare?

«I vantaggi sono la proiezione verso l’esterno. Significa essere baricentrici nel Mediterraneo, potendo così diventare un hub logistico cruciale, anche in logiche di eventuale transhipment (il trasbordo, l'operazione di trasferire il carico merci da un mezzo di trasporto ad un altro, ndr). Parlando di crociere, Napoli è già un hub molto centrale in questa industria, e credo che potrà esserlo sempre più continuando nella direzione degli investimenti e della strategia che la città sta perseguendo. Accanto a questo c’è un supporto strategico per tutto ciò che è produzione: per le aziende che esportano non solo dalla Campania, ma da tutto il Sud, avere uno sbocco a mare diventa un’opportunità per ottimizzare il loro vantaggio competitivo nella catena di valore sul mercato. Per quanto riguarda gli aspetti critici, ci sono vari temi. Da un lato c’è sicuramente la logistica. Penso ai passeggeri, ma immagino che le stesse considerazioni valgano per la parte legata allo shipping. Per essere un vero nodo logistico, bisogna avere un’assoluta ottimizzazione dei flussi mare, gomma, ferro: l’intermodalità è un elemento essenziale per lo sviluppo. Un’altra grande sfida, ovviamente, è quella legata alla sostenibilità».

I lavori per l’elettrificazione delle banchine nel porto di Napoli sono iniziati.

«Sì, ma non penso solo all’adeguamento delle banchine e al cold ironing (sistema di alimentazione elettrica da banchina che permette lo spegnimento dei motori navali durante l'ormeggio in porto assicurando comunque l'erogazione dell’energia di cui ha bisogno la nave, ndr), per cui il presidente dell'Autorità portuale del Tirreno Annunziata ha annunciato l’inizio dei lavori. Penso ad una sostenibilità vista a 360 gradi, che significa accessibilità, una strategia per la movimentazione da e verso il porto. L’ultimo elemento sul quale è assolutamente necessario migliorare, accanto all’intermodalità e alla sostenibilità, è una strategia del territorio. Mi riferisco in particolare al turismo, il settore nel quale operiamo. Significa ad esempio avere una programmazione di grandi eventi comunicata con un anno di in anticipo di modo che gli operatori internazionali possano orientare i flussi».

Si riferisce a quella programmazione turistica e culturale da tempo invocata ma poco praticata?

«Certo, significa creare in anticipo grandi eventi e comunicarli per tempo, dare una scaletta di avvenimenti che possa attirare quel turismo che non improvvisa, organizzandosi una settimana prima per quella successiva, ma quello che decide con un anno di anticipo. Una quota numericamente rilevante che si rivolge ai tour operator. Il turismo è la vocazione naturale del nostro territorio. Abbiamo un territorio che ci consente di proporre un’offerta turistica completamente destagionalizzata, perché non siamo solo mare, non siamo solo cultura, non siamo solo enogastronomia, ma siamo tante cose. La capacità di metterle insieme e di comunicarle in maniera corretta con una programmazione adeguata di eventi ci permette di guardare al futuro con ottimismo e di immaginare a Napoli un turismo che viva dodici mesi all’anno legato alle necessità del territorio, evitando il sovraffollamento di luglio e agosto, che poi è la vera chiave».

Qual è oggi il rapporto della nostra città con il suo mare? Esiste un vero dialogo tra lo stato solido e quello liquido, c’è un equilibrio tra le parti?

«Esiste un naturale collegamento tra una città come Napoli e il suo mare, sarebbe assurdo. È anche vero, però, che in termini nazionali basta andare 20 chilometri lontano dalla costa che questo rapporto col mare scompare. Questo è sbagliato. Nelle aree interne il mare non è considerato una risorsa per far arrivare beni, scambiare prodotti, materie prime e culture, per trasmettere e contaminarsi. Oggi non esiste una cultura delle economie e delle potenzialità del mare, o se esiste non è abbastanza consolidata. Il nostro Paese e ancor più il Sud Italia ha Noi una naturale vocazione in questo senso: siamo proiettati nel centro del Mediterraneo, è la nostra ovvia e naturale collocazione, ma non è percepita da tutti così. Per chi vive nell’entroterra, il mare è il posto dove andare a fare le vacanze e prendere la tintarella nei due mesi estivi, stop. Non esiste una cultura di collegamento, bisogna lavorare per mettere in connessioni le diverse aree».

A chi toccherebbe il compito di colmare questa distanza?

«Sicuramente una parte importante la fanno la politica e le istituzioni con una formazione nelle scuole, facendo percepire un cambiamento che sta già avvenendo ed è testimoniato dai numeri. Su questo, impegnandoci tutti insieme, possiamo dare un’accelerazione. Io sono convinto che i nostri giovani dovrebbero vedere nel turismo una possibilità di sviluppo e di impiego per i prossimi 30, 40, 50 anni. È una vocazione naturale, abbiamo talmente tante cose da offrire che sono così poco pubblicizzate, comunicate e organizzate che c’è solo una grande opportunità da cogliere».

Si parla di porto digitalizzato, di banchine elettrificate. Il porto di Napoli è ancora troppo indietro per essere competitivo nel contesto internazionale?

«Il porto di Napoli sta lavorando, e devo anche in maniera rapida, per adeguarsi a quelli che oggi sono gli standard internazionali richiesti. È ovvio che io da napoletano miro all’eccellenza, quindi dico che dobbiamo andare ancora più veloce, perché esistono hub nel Mediterraneo che sono più avanti di noi. Penso a Barcellona, ad esempio, che nel settore delle crociere è un esempio virtuoso. Sì, Napoli ha fatto un percorso, finalmente dopo 20 anni si è aperto questo benedetto sottopasso che porta a piazza Municipio. Ma ci sono voluti vent’anni per farlo. Adesso le cose stanno avvenendo, si sta lavorando, il porto è in costante miglioramento, ma dobbiamo correre. L’obiettivo non è seguire un trend, l’obiettivo è cavalcarlo».

Il porto di Napoli vive una fase di trasformazione. Come valuta gli interventi che sono stati realizzati? A suo avviso, che cosa diventerà e che cosa deve diventare la Stazione Marittima di Napoli?

«Io sono uno di quei napoletani ottimisti. Secondo me negli ultimi anni sono stati fatti importanti passi avanti e sono cose tangibili. Oltre all’apertura del sottopasso, il Molo Beverello accanto che tra poco verrà inaugurato, un porto sempre più inclusivo con la città .…. Stiamo andando nella giusta direzione. Noi stessi per la prima estate nella nostra storia portiamo qui tre navi da crociera alla settimana. Un record incredibile, significa che ogni settimana arrivano a Napoli tra i 15.000 e i 16.000 ospiti, a testimonianza di un trend positivo. La rotta è quella giusta, ma come ogni uomo di mare dico che il vento in poppa non basta mai».

Intanto, le navi da crociera sono tra le principali indiziate per l’inquinamento dell’atmosfera nei porti e nelle città. Voi che cosa state facendo, in attesa dell’annunciata elettrificazione del porto di Napoli?

«Noi possiamo fare e stiamo facendo moltissimo. Le nostre navi sono una fucina di nuove tecnologie che vanno ben oltre le emissioni consentite ai sensi di legge, in quanto il nostro armatore Gianluigi Aponte ha stabilito un obiettivo ambizioso ma chiaro: arrivare al 2050 con emissioni zero. La tecnologia per fare questo oggi non esiste, però la meta è chiara, è segnata, e ci ha permesso dal 2008 ad oggi di ridurre le emissioni delle nostre navi di oltre il 40 per cento. Abbiamo navi a Gnl, su alcune navi stiamo utilizzando le fuel cell, una tecnologia molto all’avanguardia (le “celle a combustibile”, dispositivi in grado di generare in modo continuo elettricità trasformando l’energia chimica di un combustibile in energia elettrica e acqua, ndr), abbiamo fatto a giugno dell’anno scorso il primo tratto di navigazione a zero net impact nell’ambiente con la nave Euribia per la prima nella storia delle crociere. Quindi noi possiamo e stiamo già facendo molto attivamente la nostra parte e su questo continuiamo a lavorare. È chiaro che accanto al nostro lavoro serve quello infrastrutturale. E serve anche un’altra cosa che secondo me manca moltissimo: un’informazione che spinga la gente a riflettere. È molto facile puntare il dito su una nave da crociera perché è grande e muove 8.000 persone, ma bisognerebbe domandarsi quanto inquinerebbero quelle stesse 8.000 persone che sulla nave stanno facendo loro vacanze se stessero a casa o prendendo l’auto per fare il bagno a mare o prendendo un areo per andare in vacanza? Beh, l’impatto sull’ambiente sarebbe estremamente più alto, perché sarebbero decine di arei che volano, decine di alberghi che non hanno le nostre tecnologie per ridurre l’inquinamento o migliaia di auto che viaggiano sulle strade. Per lo stesso motivo, anche solo restando nelle nostre case inquiniamo di più accendendo la lavatrice o il forno. Del resto, nelle nostre città si parla ancora della raccolta differenziata come di una problematica. Bene, sulle navi da crociera la raccolta differenziata si fa da trent’anni».

Si dice spesso che le crociere alimentano un turismo mordi e fuggi, scaricando sulla terraferma migliaia di turisti che “annusano” la città per poche ore senza coglierne l’essenza e senza portare un contributo all’economia locale. È ancora così?

«È una grandissima bugia diffusa da chi non conosce questo settore. Ogni crocierista lascia sul territorio tra i 100 e 130 euro. E gli 84 milioni di pasti che serviamo ogni anno alimentano un indotto molto significativo. Alla fine dell’anno Napoli supererà i 600.000 ospiti sulle navi con un impatto diretto di circa 90 milioni di euro, al quale va aggiunto quello sul piano della comunicazione: il 25 per cento dei nostri clienti tende a tornare nella destinazione visitata. Poi esiste tutta un’altra economia che gira grazie alle nostre navi legata alle guide, agli albergatori, ai ristoranti, ai tassisti, a quelli che vendono i souvenir, a quelli che si occupano dei trasferimenti. Chi chiama tutto questo “turismo mordi e fuggi” non sa di cosa si sta parlando. La cosa ancora più grave è che siamo una delle poche se non l’unica attività turistica in questa città che funziona 12 mesi all’anno in maniera costante. I nostri ospiti non stanno a Napoli solo a giugno, luglio e agosto, ma anche a novembre, dicembre, gennaio e febbraio. E la destagionalizzazione nel turismo è un elemento chiave».

Siete stati protagonisti di una crescita esponenziale che vi ha consentito di guadagnare una posizione di primo piano al livello mondiale nel settore delle crociere. Significa che anche al Sud si può fare impresa, e si può fare in modo vincente?

«Assolutamente sì, noi siamo un’azienda totalmente del Sud. La lingua ufficiale a bordo è l’inglese, ma quella ufficiosa è il napoletano e siamo un’azienda che ha fatto dei valori del Sud, quelli sani - determinazione, passione, cultura dell’accoglienza, capacità di interagire con gli ospiti – il proprio elemento distintivo. Lo dico sempre con grande orgoglio, ringraziando l’armatore: in quest’azienda vent’anni fa a Napoli eravamo un ufficio con 65 persone, oggi siamo più di 750 e l’età media è di 32 anni. Secondo me questi numeri valgono più di ogni altra dichiarazione».