La Città Metropolitana di Napoli si configura come una grande conurbazione di oltre 3 milioni di abitanti in cui i confini tra singoli comuni sono solo segnalati dai cartelli stradali mentre il "legame di cittadinanza" è sancito dalla storia economica e sociale locale. In essa il peso demografico del capoluogo è di circa 962.000 abitanti ovvero il 31% del totale .
Tenendo conto del dato medio dei votanti nelle ultime tornate elettorali nel capoluogo viene naturale una domanda: è legittimo che meno di 400.000 elettori possano eleggere nella prossima primavera oltre al Sindaco di Napoli anche il Presidente della Città Metropolitana?
Approvato nel 2015 lo Statuto della Città Metropolitana di Napoli prevede in applicazione della L.56 (cosiddetta legge Del Rio) l'elezione diretta del Sindaco Metropolitano in sostituzione della Provincia ma subordinata all'articolazione del territorio del capoluogo in più "comuni urbani" ed alla costituzione di "aree omogenee" individuate sulla base di aggregazione di comuni con una o più funzioni strategiche caratterizzanti. Tale ridisegno territoriale dell'ex Provincia di Napoli sarebbe dovuto essere completato entro sei mesi dall'approvazione dello Statuto ma tra pochi giorni (il 14 novembre) saremo a 5 anni di ritardo e nulla si muove in quella direzione, a testimonianza di un'impostazione generale di tipo napolicentrico di fatto sostenuta dall'attuale amministrazione comunale del capoluogo.
Da tale situazione scaturiscono alcune preoccupazioni sia sul piano costituzionale che su quello amministrativo. Le prime riguardano un effettivo arretramento della democrazia visto che nelle vecchie Province almeno i cittadini erano chiamati ad eleggere il Presidente dell'Ente. Arretramento che rischia di alimentare il distacco tra cittadini e chi esercita il potere anche senza un mandato diretto e del quale effettivamente non ne sentiamo proprio il bisogno. D'altra parte, è bene ricordare che la Città Metropolitana nasce come Ente di Area Vasta e non come Ente Locale, quindi non dotata di autonomia impositiva. Il che si traduce in una forte dipendenza economica della periferia metropolitana dal suo capoluogo. Appare dunque legittimo il timore circa la validità "sostanziale" in chiave metropolitana delle prossime elezioni amministrative nella città di Napoli rispetto alle quali è opportuno ricordare che l'attuale Sindaco, forte della sua lunga esperienza amministrativa e del fatto che non è rieleggibile, si è definito "allenatore" e come tale ha individuato il suo successore nelle "giovanili" della sua squadra politica, per proseguire la sua opera che è costata a Napoli la perdita di molte posizioni nella classifica europea delle "città in declino". De Magistris lascia una città in cui si è avuto un ricambio di 1 assessore ogni 3 mesi negli suoi 8 anni di amministrazione per un totale di 34 sostituzioni e 10 "rimpasti, 3 miliardi di debiti, i tributi comunali più alti d'Italia, i trasporti pubblici da "Terzo Mondo", i parchi pubblici devastati dall'incuria, l'impennata del lavoro "informale" che supera ormai in percentuale quello ufficiale.
Di fronte a tale scenario si delinea l'enorme problema del ripensare Napoli e la Città Metropolitana nella fase di stabilizzazione del Covid -19 (non della sua sconfitta), la cui soluzione dovrebbe essere affidata ad una squadra politica di "top player" delle competenze nelle diverse discipline che vanno dall'urbanistica all'economia al mondo del sociale. E magari trovare il modo di dare un senso a quel "legame di cittadinanza" dell'intera comunità dei 92 comuni della Città Metropolitana che forse avrebbe il diritto di partecipare all'elezione del proprio Presidente. Magari senza dover addirittura rimpiangere la vecchia Provincia.
© Gennaro BiondiProfessore straordinario di Economia delle aziende turistiche e Coordinatore di OMeN - Osservatorio Metropolitano di Napoli