Dopo trent’anni di studi ed indagini sulla città, aggiornando statistiche e cambiando il punto di osservazione, confrontandosi con altre realtà metropolitane europee, il desiderio che la città imboccasse un’accettabile “normalità“ urbana resta ancora ostaggio di un territorio “ambiguo” nel suo disegno territoriale e nelle sue componenti economiche e sociali: città mediterranea, europea o levantina, moderna o post-moderna, industriale o turistica. L’unica certezza sta forse nel fatto che nel tempo somiglia sempre più a sé stessa, ovvero ad una conurbazione dinamica nella sua spontaneità ma del tutto impossibile ad essere studiata con gli strumenti classici dell’urbanistica e della pianificazione territoriale. Non si tratta di un calcolato abbandono dell’approccio scientifico o della presa di coscienza dell’inapplicabilità di modelli sperimentati altrove: l’immersione nel contesto chiarisce e confonde nello stesso tempo l’osservatore con la sua complessità fatta di creatività e resistenza al cambiamento, in uno scambio di ruoli che sollecita più le emozioni che non la riflessione.
E’ troppo densa ed articolata la geografia urbana di Napoli, troppo ondivago il crogiuolo dei desideri. A ben vedere l’attenzione appare focalizzata, con sfumature diverse, ora sugli aspetti “fisici” della demografia, ora sull’evoluzione dell’assetto funzionale.
Nel primo caso si guarda ai valori della densità e distribuzione della popolazione in rapporto alla morfologia del territorio ed alla dinamica dell’edilizia abitativa che definiscono il paesaggio della metropoli. Nel secondo la riflessione si sofferma sui mutamenti e la tipologia delle funzioni, sul loro intreccio e sulla qualità dei flussi relazionali (di merci e persone) che si dispiegano sul territorio cittadino e del suo intorno.
Siamo di fronte a due approcci che troppo spesso si ignorano a vicenda alimentando quella sensazione di una città “divisa e autolesionistica” come ben evidenziata nel Focus di Gabriella Reale. Forse per troppo tempo il continuo specchiarsi nell’altrove ha alimentato la convinzione che la città trovasse una sua identità in maniera spontanea. Molto spesso la permanenza di categorie di giudizio inadeguate divide e distorce la percezione del mutamento in atto e determina una “dissonanza cognitiva”. A nostro avviso solo quando queste contrastanti impostazioni convergeranno in una visione condivisa circa la metodologia necessaria per affrontare la complessità urbana economica e sociale della città si potrà costruire un percorso di sviluppo di tipo razionale piuttosto che disegnato esclusivamente dall’emotività e dai desideri.
Il problema si pone, dunque, ad un livello più alto e coinvolge la “coscienza collettiva” di tutta intera la classe dirigente napoletana. Forse la risposta più logica sta nel “ripartire dal basso”, interrogando il territorio nelle sue componenti strategiche fatte di risorse materiali e del “capitale umano” e senza sottovalutare le speranze delle comunità locali. Inquadrando, infine, questa metodologia d’analisi in un nuovo rapporto tra le componenti più illuminate dell’imprenditoria locale e l’amministrazione cittadina che presenta forti competenze ma spesso si muove con la velocità di una “tartaruga azzoppata” (Ivo Allegri). Intanto la città perde popolazione, le aule della scuola dell’obbligo si svuotano, il settore secondario si destruttura sempre più ed il terziario tende a trasmettere l’immagine di una città “friggi e fuggi” in cui gli individui possono elaborare la loro magia personale assumendo ruoli sempre diversi (quelli della precarietà). Eppure non mancano esempi che inducono ad un prudente ottimismo: vedi il rinnovato dialogo tra imprenditori innovativi aggruppati intorno all’associazione Est(ra)Moenia e le istituzioni cittadine per la totale riconversione di Napoli-Est. Andare oltre il diffuso pregiudizio secondo il quale a Napoli “le imprese non investono e le Istituzioni non spendono” si può ancora, a patto che si lavori “sull’anima della città poiché senza un sentimento che consenta di abbracciare Napoli nella sua complessità” (Mazzone) si rischia di alimentare ancora a lungo il conflitto tra la forma ed i desideri della Zenobia di Calvino in cui solo la forza dei simboli esprime la capacità di porre delle questioni e svelarne i punti di vista.
© Gennaro BiondiProfessore straordinario di Economia delle aziende turistiche e Coordinatore di OMeN - Osservatorio Metropolitano di Napoli