Sì, è qui la festa. È nell’ubriacatura collettiva dei visitatori che si riversano a frotte nei budelli dei quartieri e dei Decumani per poi tracimare la loro euforia tra i flutti del web. È nei video, nei reels, nei post e nelle storie che immortalano una città in mutamento, ma in fondo sempre uguale a sé stessa. È nelle paginate dei giornali e nei servizi che alla tv celebrano il Nuovo Eldorado preso d’assedio dai forestieri che l’hanno finalmente scoperto. È nel catalogo di stereotipi aggiornato ai codici del nuovo millennio, nelle bandiere azzurre esibite ad ogni angolo, poi ammainate e adesso di nuovo messe timidamente a sventolare accanto ai panni stesi sui fili tra i balconi, nel tripudio di colori, odori e sapori che fanno da sfondo ad un set che sembra apparecchiato apposta per compiacere il visitatore.
Ebbene sì, è qui la festa. Più per chi viene e va che per chi resta. Lungi dal volerla rovinare, demonizzando il successo turistico, forse vale la pena di cambiare punto di osservazione, guardando la Napoli che si consegna ai forestieri dal punto di vista di chi ci vive tutti i giorni. Uno spostamento dell’asse che qualche disfunzione la rivela. Teresa Armato, che nella giunta guidata dal sindaco Manfredi amministra proprio le deleghe al Turismo e alle Attività produttive, è sicura però che gli interessi che è chiamata a tutelare non sono in conflitto.
Assessore, oltre al volto, il turismo in questi anni ha cambiato anche l’anima di Napoli, la sua vocazione? La sta snaturando o rischia di farlo?
«Voglio sottolineare, in premessa, che l’avvento del fenomeno turistico è una cosa molto positiva per la città, in quanto garantisce un’opportunità di crescita economica che ha portato maggiore benessere, occasioni di lavoro e anche di crescita sociale e civile. In alcune zone c’è stata una rigenerazione urbana “bottom up” (dal basso verso l’alto, ndr) che si è iniziata a intravedere nel 2019, si è fermata nel 2020-2021 per via del Covid ed è ripresa con forza nel 2022 per continuare nel 2023 e nel 2024. Per rispondere alla sua domanda, sinceramente non credo che il turismo stia snaturando Napoli. È un rischio che stiamo cercando comunque di prevenire, ma Napoli ha un’identità molto forte rispetto ad altre città che sono mete turistiche da quarant’anni e non hanno un’identità così forte. Perché la nostra cultura non è statica, ma è in divenire: la cultura napoletana oggi sono anche Geolier e Maurizio de Giovanni che ripropone “Passione”, raccontando la storia degli autori delle canzoni napoletane. E poi c’è la napoletanità, una caratteristica fortissima che le altre città non hanno. Non posso mai dimenticare che all’inizio del 2023 ho incontrato in centro una famiglia di torinesi: mi confessarono che più dei monumenti, dei vicoli, dei paesaggi e dello stesso murale di Maradona ai Quartieri li aveva colpiti il sorriso. “Da quando vi svegliate, sorridete”, dissero. E pochi mesi fa ho incrociato delle ragazze di Pistoia che erano venute qui per l’addio al nubilato ed erano rimaste rapite dalla vivacità, dall’allegria, dalla musica per le strade, dal fatto che qui si fa “ammuina”. Ebbene, queste caratteristiche di Napoli non le snaturi nemmeno se ci porti quaranta milioni di turisti».
Forse quella «ammuina» che ha tanto entusiasmato le ragazze di Pistoia piacerà di meno a chi abita in quelle strade.
«Chiaramente, non perdiamo di vista la vivibilità della città e le giuste esigenze dei cittadini. Vogliamo preservare l’identità, il sorriso, la cultura. Durante la campagna elettorale del 2021, il sindaco disse: “Voglio che Napoli non sia più una friggitoria a cielo aperto”. Dalla fine del 2022 mi sono messa al lavoro per questo, e nel luglio del 2023 abbiamo prodotto una delibera, prima città in Italia, per impedire che nel centro Unesco e nella buffer zone, la zona intorno al centro, venissero rilasciate nuove autorizzazioni per attività di food and beverage. È stata una delibera innovativa, tanto che diverse città, tra le quali Roma, ci hanno chiesto supporto. Ma è stato un processo molto complesso, elaborato, poiché doveva coinvolgere vari livelli di governo del territorio. Quest’anno abbiamo avuto l’ok a proseguire da parte della Regione e dell’Unione Europea e abbiamo raccolto i primi dati: naturalmente, nel centro storico non è nata più alcuna attività di quel tipo, e in compenso gli imprenditori si sono sentiti spinti ad andare in altre aree della città anche periferiche dove, dall’agosto del 2023 all’agosto del 2024, le nuove aperture nel settore food and beverage sono cresciute del 14 per cento. Questo significa che non abbiamo compresso la libertà di impresa, ma l’abbiamo decentrata, il che è una cosa positiva non solo perché decongestiona il centro, ma anche perché porta negli altri quartieri delle opportunità e anche i turisti stessi. Inoltre, abbiamo messo in campo molti controlli contro la movida molesta e devo dire che dei risultati li abbiamo ottenuti, per esempio, a piazza San Pasquale e via Carducci, dove la vivibilità è migliorata. Certo, si deve continuare, ma la città da questo punto di vista è più presidiata».
A proposito della gentrificazione, c’è da gestire l’apertura incontrollata di strutture ricettive abusive.
«Su questo abbiamo avviato una campagna di moral suasion. Io non sono per bloccare i b&b, ma vogliamo che si mettano in regola: dai nostri controlli ne sono emersi 400 che adesso pagano la tassa di soggiorno. Sono fondi che il Comune può utilizzare per i servizi, e noi puntiamo ad aumentare e migliorare i servizi pubblici, che sono rivolti anche ai turisti, ma prima di tutto ai cittadini. Inoltre, abbiamo lavorato sulla pulizia delle strade, l’assessore Santagada farà installare a breve in tutta la città i cestini intelligenti compattanti, abbiamo migliorato la mobilità pubblica. Si tratta di un meccanismo virtuoso per cui arrivano i turisti, pagano la tassa di soggiorno e noi utilizziamo quei soldi per i servizi».
Non avete la percezione che i napoletani stiano cominciando a stufarsi di questa gioiosa invasione?
«Io non parlo di percezione, poiché non è un dato scientifico. L’elemento scientifico ce lo ha fornito l’Osservatorio sul turismo che io ho istituito un anno e mezzo fa e che ha fatto una bellissima analisi che abbiamo presentato anche in Confindustria su molte sfaccettature del turismo. Una delle analisi riguardava l’opinione dei napoletani sul turismo: sono state interrogate 3500 persone e il risultato è sbalorditivo, poiché i napoletani lo percepiscono come un elemento di crescita, di miglioramento della qualità e dello sviluppo del territorio. La percezione è un’altra cosa, ma io dico che razionalmente molti napoletani rispondono così. Del resto, anche grazie al turismo Napoli è diventata una delle città meno insicure d’Italia, e di questo beneficiano ovviamente anche i cittadini (nell'Indice della criminalità 2024, Napoli è dodicesima, Milano si conferma la città con il maggior numero di reati denunciati, seguita da Roma e Firenze, ndr). La percezione è un’altra cosa e anche a partire da quella bisogna tutelare meglio i napoletani».
Il turismo ha modificato lo spazio urbano in modo significativo, tanto che il centro storico ha perso molti artigiani e molte botteghe storiche. Tra turismo da una parte e commercio e artigianato dall’altra esiste un conflitto di interessi?
«Questo è vero, hanno chiuso molti negozi storici e molte botteghe di artigiani, ma non c’è alcun conflitto di interessi. Anzi, la crescita del turismo necessariamente fa crescere anche le attività commerciali. Certo, bisogna vedere quali».
Appunto.
«Anche qui va fatto un ragionamento a tutto campo. Sono aumentati sicuramente i bar, i ristoranti, le pizzetterie, eccetera, e abbiamo parlato di come abbiamo contrastato questa tendenza. Ma sono cresciute anche altre attività: mi raccontano che nei Quartieri sono nate nuove lavanderie, poiché lì sono nati dei b&b e i turisti hanno bisogno di lavare i loro vestiti. Ci sono addirittura negozi che noleggiano carrozzine per i bambini. Ovviamente è brutto che chiudano le botteghe storiche, per cui noi abbiamo messo in campo alcune iniziative come il riconoscimento di bottega storica con una targa e una promozione forte sui social. Ma l’azione più importante sulla quale ci siamo impegnati e sulla quale continueremo è l’individuazione di alcune strade con una precisa destinazione commerciale. Abbiamo cominciato da San Gregorio Armeno, dove abbiamo deciso che possono esserci soltanto botteghe presepiali. Significa che se chiude una bottega che vende presepi e pastori deve aprirne un’altra dello stesso tipo. Una delibera coraggiosa contro la quale si era opposta un’attività commerciale molto nota in città, ma il Consiglio di Stato ci ha dato ragione e il Tar ci ha anche lodati. Ora lo faremo con Port’Alba, che ha una naturale vocazione e sempre di più sta diventando la strada dei libri, e continueremo con il Borgo Orefici. Naturalmente, non è facile fare questo, poiché si vincola la crescita commerciale di una strada. Non sono decisioni che puoi calare dall’alto, è necessaria un’ampia condivisione con i soggetti del territorio, dai negozianti alla Municipalità».
Napoli ha scoperto i turisti, i turisti hanno scoperto Napoli. Il risultato è che quasi l’88% del Pil della città è riconducibile ai servizi. Come è noto, però, i flussi turistici sono legati a variabili non programmabili e non controllabili. Come si fa a trasformare questa infatuazione di massa in un’industria in grado di proiettare la città verso uno sviluppo sistemico?
«Tutto questo si fa gestendo il turismo in maniera professionale. Non può essere assolutamente legato alle mode e alle tendenze. Una delle cose che abbiamo fatto è stato dotarci di dotarci di organismi scientifici come l’Osservatorio, che ho citato prima, e la Destination Management Organization, che osservano i flussi e ci dicono su quali mercati dirigerci, a quali fiere partecipare, come fare una campagna di comunicazione. Napoli non può che affidarsi a dei professionisti. Certo, il Comune è un pezzo, ce ne sono tanti altri. Ma noi questo pezzo lo stiamo professionalizzando di modo da evitare il rischio di un declino. Il 92 per cento delle persone che vengono qui vogliono tornare e lo dicono ad altri, diventando loro stessi promotori turistici. In quella disgrazia terribile che è stata la morte di Chiara Jaconis, ricordo sempre che il fidanzato mi disse che lei voleva venire a Napoli a tutti i costi. Parliamo di una ragazza di 30 anni parigina. Poi, certo, ci dobbiamo preoccupare anche degli altri settori».
A proposito di questi, mentre il turismo va a gonfie vele, l’artigianato di tradizione e il commercio di prossimità, come l’industria manufatturiera, vivono un momento difficile. C’è da preoccuparsi?
«Sull’artigianato stiamo facendo un lavoro importante: tra poco le maggiori associazioni dei nostri artigiani parteciperanno alla fiera di Biella finanziati dal Comune per promuovere dell’artigianato locale. Inoltre, abbiamo istituito con gli operatori del settore un tavolo per candidare Napoli al summit delle Città creative: vogliamo puntare in modo particolare su alcuni segmenti come la moda, i presepi, l’oro e in generale quelli che da sempre caratterizzano le nostre produzioni. Anche questi settori possono trarre giovamento dal turismo».
© Davide Cerbone