Europa, sviluppo, progetto sono parole che decliniamo insieme convinti che solo dall’Europa, come insieme di istituzioni rigorose ed efficienti, dalla progettazione, come metodo che individua obiettivi e strumenti e li connette razionalmente, possa venire lo sviluppo con il suo portato di crescita economica, benessere individuale e collettivo e occupazione.
Eppure la storia di questi ultimi anni smentisce decisamente la tesi e l’idea che sta alla base di questa impostazione e L’Europa è vissuta da cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni più come un vincolo che come una risorsa e un’opportunità : c’è lo chiede l’Europa è una frase che suscita più angoscia che quella gioia che l’inno dell’Europa vorrebbe veder nascere ogni volta che viene invocata l’Unione.
Come si esce da questa empasse? Il discorso sarebbe lungo e non è facile svilupparlo in poche battute. Se devo, però, sintetizzarlo in tre frasi direi:
1) Più imprenditorialità : è necessaria una nuova mentalità più attiva, più capace di affrontare i problemi che sono sul tappeto in modo innovativo; è necessario a tutti i livelli più coraggio altrimenti le paure ci bloccheranno;
2) Meno burocrazia, meno carte e più fatti , prima di tutto in Europa, e poi nelle nostre regioni e nelle nostre amministrazioni pubbliche; cittadini e imprese devono usare le opportunità dell’Europa non per produrre carte per rendicontazioni complesse, ma opere e relazioni costruttive di innovazione sociale;
3) Più cultura della fiducia per alimentare azione e innovazione, meno cultura del sospetto; i processi economici e sociali non vanno ingabbiati con regole minuziose e incomprensibili, che non sconfiggono corruzione e frodi, ma bloccano le energie migliori e più vivaci dei nostri territori.