Capitale anche sportiva del Sud, Napoli è l'emblema del disagio in questo settore, certificato dal recente studio Svimez. Un disagio profondo come le sue radici, con la contrapposizione tra squadre e atleti vincenti, arrivati ai massimi livelli internazionali, e una scabrosa situazione impiantistica che dura da decenni.
Agli inizi della mia attività giornalistica, rimasi impressionato dalla palestra in cui Patrizio Oliva aveva costruito con il sudore, giorno dopo giorno, l'oro olimpico nel pugilato: la Fulgor era in un sottoscala allo Spirito Santo. Certo, da allora tanto è cambiato ma non sempre in meglio, se è vero che dopo oltre quarant'anni si continua a parlare dell'emergenza impianti.
Napoli, scelta come Capitale europea dello sport 2026, non ha un Palazzo dello sport, tanto per cominciare. Il Mario Argento di viale Giochi del Mediterraneo è stato chiuso nel 1998 e non soltanto non più riaperto ma addirittura demolito. E così il PalaBarbuto, dall'altro lato del viale, si è trasformato nel suo "sostituto": altro che soluzione temporanea come venne detto da palazzo San Giacomo oltre vent'anni fa.
L'occasione delle Universiadi 2019 è stata preziosa perché sono stati fatti corposi investimenti, in particolare sullo stadio San Paolo, poi dedicato a Diego Maradona, perché quel minimo di restyling neanche sarebbe avvenuto senza il contributo della Regione Campania. Ma nei mesi successivi vi è stato il problema della manutenzione degli impianti.
La strada giusta è il coinvolgimento delle istituzioni sportive e/o dei privati. È, ad esempio, accaduto con la convenzione tra Comune e Federnuoto per la gestione di 8 piscine. Del rilancio del Collana, storico impianto polisportivo del Vomero, si occuperà il legittimo proprietario, la Regione Campania. Per il nuovo Palasport, invece, siamo - a 25 anni dalla chiusura - ancora sul piano delle buone intenzioni. Non c'è altro perché non vi sono progetti. Secondo una stima dell'assessorato comunale allo Sport, occorrono tra gli 80 e i 90 milioni per la costruzione di un nuovo Palasport. Chi potrà mai farsi avanti?
Il dispiacere è vedere il PalaBarbuto strapieno in ogni partita grazie ai brillanti risultati della Gevi Napoli Basket: gli spettatori potrebbero essere oltre il doppio in una struttura più ampia, con un forte ritorno economico e di immagine. È una delle tante occasioni perse (vorrei illudermi di dire: ancora non colte) in una città che ha la capacità di attirare grandi eventi sportivi per la sua storia, la sua bellezza e la sua capacità organizzativa. Senza andare troppo indietro nel tempo, basta ricordare le tappe del Giro d'Italia, i tornei internazionali di tennis (con il Tc Napoli del presidente Riccardo Villari pronto ad organizzare un Atp 125 Challenger nel 2024), le regate di vela, la Maratona promossa da Carlo Capalbo che richiama atleti da tutto il mondo.
L'assegnazione del titolo di Capitale europea dello sport 2026 non avrà l'impatto economico delle Universiadi, questo è bene chiarirlo. Potrà magari fungere da stimolo per le istituzioni e i privati affinché tentino di migliorare lo stato dell'impiantistica sportiva, un discorso che non si può ridurre allo scontro tra palazzo San Giacomo e il Calcio Napoli per il Maradona, con le minacce di De Laurentiis di farsi il suo stadio altrove e il richiamo di Manfredi al rispetto delle leggi sul tema della vendita di un impianto che è vetusto (l'inaugurazione risale a 64 anni fa) e che avrebbe bisogno non di ritocchini ma di interventi strutturali.