Alle amministrative comunali del 2011 il Partito Democratico decise di perdere e ci riuscì appieno. In quelle del 2016 ha perseguito, bersianamente, la ‘non vittoria’ e ci è riuscito ancora una volta. Nel 2011 fu il PD a dare a de Magistris la quasi totalità dei voti. Nel 2016 de Magistris ha vinto con voti propri. In cinque anni ha acquisito ‘di suo’ la maggioranza del consenso elettorale in città, il controllo assoluto sulla macchina amministrativa comunale, il favore di gruppi sociali sedotti dalla sua predicazione , ora noiosamente rivoluzionaria ora decisamente volgare, sempre populista.
La crescita di de Magistris è dovuta in parte alle sue indubbie capacità manovriere paludate con tonante ideologia d’antan e per l’altra alla costante, quasi programmata verrebbe da dire, assenza d’una seria opposizione politica.
Tutto ciò per dire che de Magistris non è più la classica scheggia impazzita d’un tempo, lo spirito eccentrico che voleva scassare, ma personaggio politico bene incardinato ormai in gangli vitali di Napoli . Tutto ciò rende molto più difficile la ricerca d’una via d’uscita auspicata da de Giovanni a conclusione della sua nota.
Nel presente, una via d’uscita coincide solo con l’uscita di de Magistris dalla scena politica di Napoli. Per sua decisione, candidandosi, ad esempio, alle prossime, elezioni politiche. Per le sempre temute o auspicate iniziative della magistratura. Mai uscirà di scena prima della scadenza naturale del mandato elettorale per poderosi scotimenti progettati dall’opposizione.
Nel presente ancora, subiamo i quotidiani racconti fantastici d’una città invisibile che intrecciano in maccheronica sintesi Pirandello e Calvino . Biagio de Giovanni ne ha dato un’arguta figurazione. Nel presente infine, si aggrava il danno culturale che questa fase politica sta procurando alla città. E’ stato sempre de Giovanni a parlarne per primo , ma non c’è stato il riscontro diffuso e di lunga durata che meritava.
Quando questa attuale fase politica si esaurirà e passerà al vaglio degli storici, di certo qualcuno la porrà in relazione con quella di Achille Lauro. Una analogia, d’acchito, non immotivata: per similarità di forme che ‘mettono in scena’ la politica, drammatizzate quelle attuali, da operetta quelle d’allora; per velleitarie pulsioni autonomiste; per la latitanza di cultura istituzionale; per l’enfasi posta sul concetto di ‘popolo’, in realtà, in un caso e nell’altro, plebe antropologica trasversale al popolo napoletano; per evidenti affinità caratteriali.
La sola ammissibilità del paragone qualifica la natura e il livello dell’esperienza politico-amministrativa che stiamo vivendo.