Quanto meridionalismo c'è nel governo giallo rosso?

Quanto meridionalismo c'è nel governo giallo rosso? Dipenderà da quanto impegno e coraggio ci sarà nel disegnare e intraprendere politiche di sviluppo e voltare (o non) pagina rispetto alla sempre meno credibile illusione di agganciare in ordine sparso la crescita fidando su locomotive che tutte le evidenze ci dicono in affanno anche nell'inseguire l' Europa che rallenta nell'economia mondo.

Basterà a un così impegnativo intento la cura ricostituente che ha portato al 55% la pattuglia dei ministri meridionali rispetto a quella ben più sparuta nel governo giallo verde? Più che dalle percentuali l' esito dipende dalla forza delle idee e dalla efficacia con la quale riusciranno a fugare illusioni e presunzioni tanto profondamente radicate quanto infondate e ancora dominanti.

Nel precedente governo i meridionali degni di nota erano del M5s e, duole dirlo, l'esperienza ha evidenziato quanto ignari e poco attrezzati fossero anche a leggere il "loro" Sud. Un Sud, si ricorderà, nemmeno citato nel famigerato contratto di governo in cui il solo punto definito assolutamente prioritario era l' impegno a realizzare il "regionalismo a geometria variabile". Un progetto per il quale fino ad agosto 2019 ha lavorato tentando una (incostituzionale) quadratura del cerchio una ministra della Lega in trattative segrete con Governatori della Lega. Il Sud è stato invece destinatario privilegiato del placebo del reddito di cittadinanza. L'ormai significativa esperienza dimostra quanto poco efficace sia quel contrasto della povertà che -con buona pace di precari navigator- ha clamorosamente fallito il tanto strombazzato obiettivo di creare lavoro. Al contrario (Rapporto SVIMEZ 2019) è concreto il rischio di alimentare un micidiale meccanismo  che allontana i poveri dal mondo del lavoro.

Dato l' ovvio persistente intralcio che esercita in questo governo la vivacità degna di miglior causa dei ministri gialli è evidente che fare un passo in avanti  sul Sud è tutt'altro che facile; se potrà esserci è per l' ingresso di una componente meridionale "informata dei fatti". Certo pur molto più limitata del 55% dell' esecutivo essa oggi presidia posizioni chiave come le politiche di coesione e quelle regionali. E' quindi legittimo attendersi che vengano almeno attivati e utilizzati al meglio strumenti ereditati dal passato (quota 34% e ZES) aggiuntisi da più di due anni al parco attrezzi delle usuali provvidenze ma al momento disattesi o per nulla operativi.

Il giudizio se al miglioramento teorico corrisponderà quello effettivo sarà possibile darlo entro breve, considerando tre fronti sui quali questo esecutivo dovrà dare conto.

Il primo è -per così dire- il coraggio di fare outing sul Sud dopo circa trent'anni di imbarazzante silenzio. L' annunciata redazione di un piano Sud (non certo una novità) legittima un pò di ottimismo. Certo il piano nell'immediato sarà da valutare soprattutto per la sua impostazione e visione attesi i vincoli di questa finanziaria nata per arginare e tamponare le conseguenze delle estemporanee fantasie (reddito di cittadinanza e quota cento) lasciate in eredità a questo esecutivo.

In questo ambito significativa è l'iniziativa del presidente del Consiglio che, in due occasioni, è intervenuto sull'operazione verità lanciata da mesi dal Quotidiano del Sud. Altra voce dell'Italia; preso atto e confermato il dettaglio dei numeri forniti, il Presidente ha condiviso l' urgenza di ripristinare un fisiologico rapporto tra i territori. Il richiamo è alla legge di attuazione del federalismo fiscale, cui corrisponde l'urgenza di abbandonare il criterio della spesa storica del quale l'operazione verità ha esaurientemente documentato i sistematici effetti a danno del Mezzogiorno. 

Di sorprendente rilievo è il fatto che il primo endorsement dell' operazione verità del Presidente avviene in pieno regime del governo a trazione leghista. Questo importante richiamo è del tutto coerente con l'esigenza di cambiare verso alle politiche ultratrentennali clamorosamente fallimentari e rappresenta, come suol dirsi, la prova del fuoco per il governo.

La seconda verifica del tasso di meridionalismo rinvia al citato piano per il Sud. Esso va giudicato sulla sua coerenza con l'obiettivo di reintegrare il Sud a pieno titolo nella ultranecessaria revisione del "modello di sviluppo italiano". Il Paese deve rompere la ghettizzazione del Mezzogiorno, proponendosi con ciò di riattivare il "motore" dello sviluppo. L'obiettivo di avviare un vero rinascimento economico ed industriale del Mezzogiorno basato su logistica a valore, efficientamento energetico, rigenerazione urbana e territoriale dovrebbe tradursi in una proposta operativa di una strategia euromediterranea confortata dalla verifica che la semplice redistribuzione di risorse pubbliche date ha effetti nettamente più espansivi in caso di interventi infrastrutturali nel Mezzogiorno.

La terza verifica, connette le precedenti e riguarda la capacità dell'esecutivo di fare fronte all'emergenza economica e sociale recuperando un effettivo ruolo di regia attiva del sistema a integrazione di quello ormai quasi rituale di semplice arbitro. Questa esigenza si fa pressante in un sistema come il nostro pericolosamente esposto alla deriva disgregatrice che vede alcune regioni accampare pretese al rango di piccola patria.  La gestione del tema dell'autonomia, ex art 116 comma terzo, torna quindi all'ordine del giorno anche per il governo giallo-rosso. La proposta di disegno di legge appena presentata dal ministro per gli affari regionali merita una attenta valutazione. Al di là delle apparenze rassicuranti, essa in realtà è ben lontana dall'affrontare sia pur tangenzialmente il tema cruciale sollevato dall'operazione verità che ha momentaneamente vanificato le ambizioni lombardo-veneto: quello della perequazione. Senza pretendere risarcimenti per il passato, esso impone comunque un non lieve ribilanciamento nell'accesso alle risorse per il futuro.

Un ribilanciamento che sia veramente efficace a riavviare il motore dello sviluppo potrebbe evitare drammatiche tensioni che sarebbero invece all'orizzonte in caso di un consolidamento dell'attuale regime di spesa storica che, penalizzante per il Sud, è l'unica soluzione praticabile per soddisfare -e solo parzialmente- le aspirazioni delle piccole patrie.