Nella primavera del 2016 sono stato tra i curatori d’una mostra a Roma sulle periferie italiane realizzate a partire dalla metà degli anni Sessanta con l’edilizia residenziale pubblica. Si chiamava Cantiere Periferie. Alla ricerca d’una città normale. Guendalina Salimei aveva progettato un allestimento bello e funzionale negli spazi dell’Archivio Centrale di Stato all’EUR ed ora ha scritto l’editoriale sul tema in discussione.
Cercando in quel periodo materiali su Monterusciello e Toiano, nuova periferia di Pozzuoli, trovai un’intervista degli anni Novanta ad alcuni giovani della zona flegrea. Cosa desiderate più d’ogni altra cosa per il quartiere, chiese il giornalista. Risposta: non vogliamo la solita panchina con aiuola e lampione tanto cari agli architetti, vogliamo più treni e pullman per andare la sera a Pozzuoli e a Napoli, soprattutto il sabato e la domenica.
Parole semplici e terribilmente ammonitrici. Per dire: che lì non si viveva bene, che il quartiere non piaceva, che gli architetti spesso rispondono con formulette progettuali a domande serie, che volevano spazi e occasioni di vita associata veri, come si possono trovare solo in città vere. Come i centri di Napoli e Pozzuoli, oltre e nonostante i gravi problemi che li affliggono. Con tutta evidenza, quei quartieri erano solo simulacri di città.
Parole che anticipavano di molti anni il dibattito attuale. Negli slogan come La periferia al centro o Il rammendo tra centro e periferia proposto da Renzo Piano, c’è l’esplicita ammissione che la redenzione delle periferie passa per la loro vicinanza e la loro somiglianza con il centro della città che resta il luogo per abitare più desiderabile.
Le periferie al centro e rammendo. Sforzi inutili se si riparte con la sola rigenerazione edilizia non sostenuta da programmi sociali e economici. Questo è stato l’errore della politica per le periferie, del tutto simile a quello fatto per i centri storici con i soli restauri dei monumenti, lasciando nel degrado tutto il resto, comunità degli abitanti comprese.
Occorrono Piani delle periferie di nuova generazione ove – ma solo per paradosso polemico – vi sia meno urbanistica e più politica sociale, meno preoccupazione per il disegno architettonico e più volontà di aumentare il benessere e l’integrazione. Se così ideati, la qualità architettonico-urbanistica seguirà docilmente.