Le previsioni di crescita si ridimensionano. Mentre si allontanano le prospettive di una accelerazione, si consolida invece la possibilità di una significativa frenata dell' economia che avrebbe effetti più intensi soprattutto al Sud.
Questo scenario accentua il bisogno per il Paese di schiodarsi dal rischio di ricadere nella stagnazione che ha preceduto per oltre un decennio i micidiali sette anni della crisi (2008-2014). Il ritmo della nostra presunta "ripresa" (una crescita tra l' 1% e l' 1,5%) è addirittura più basso di quello realizzato nel decennio della stagnazione.
Ma si può accelerare la crescita se lo scenario sconta un rallentamento dell' economia globale?
Direi proprio di sì, se lo si vuole, con tutto ciò che questa volontà richiede.
L' Italia, il Sud in particolare, ha una carta da giocare che può attivare una forte accelerazione dell' economia anche in uno scenario generale di crescita modesta. Si tratta di aggiudicarsi una quota sufficientemente più consistente di una "torta" che cresce poco o si restringe. Ciò è possibile soprattutto nel Mezzogiorno ammesso -e non concesso- che ci sia la capacità di dar fiato, grazie a nuovi strumenti come le ZES, a strategie che -facendo leva su vantaggi esistenti ma sfruttati molto al di sotto del potenziale- consentano di prendersi il necessario.
Per il Paese lo strumento delle ZES deve essere "il" secondo motore dell' economia, che affianca, aiuta, convive con le ansimanti locomotive del made in Italy.
Tutto ciò ha senso se ci affranchiamo dall'inerzia che in passato, invece di vederci protagonisti, ci ha visto ai margini delle dinamiche dell' economia mondiale. Intendo qui in estrema sintesi richiamare il tema, centrale per noi e per l' Unione Europea, del Mediterraneo come piazza mondiale, centrale nel rapporto tra continenti nel dialogo tra loro e con l' Europa. Al momento il Mediterraneo è un trafficatissimo e accidentato luogo di transito; dobbiamo convertirlo in luogo di scambio per noi produttivo anche con l' intento di farne il nesso fisiologico con l' Africa. E' questa la missione che dobbiamo affidare alle nostre Zone Economiche Speciali. Se buoni ultimi e svogliatamente si è varato questo strumento, non sembra ancora che siamo consapevoli e in grado di interpretarlo coerentemente al suo compito di fondamentale attivatore di una logistica a valore che si irradia dal sistema di porti, retroporti e connessioni intermodali al servizio dei traffici e delle produzioni della "nuova" manifattura. Solo così il Mediterraneo -specie in rapporto all'Africa- diverrà un fattore di relazione fondamentale e non una barriera che divide.
Con le ZES si avvia la scommessa della reindustrializzazione del Sud dopo la desertificazione imposta dalla terapia devastante della "austerità espansiva".
Che ci siano gli spazi per essere ottimisti ammesso -e non concesso- che la capacità operativa sia adeguata alla missione, non è difficile da dire.
Il compito di un nostro sistema di ZES per fruire dello sviluppo dei traffici nel Mediterraneo è quello di costruire il fulcro di un Southern Range che si confronti con il granitico Northern Range a tutto vantaggio di uno strategico ribilanciamento interno all'Unione.
Un "nostro" sistema (potenzialmente almeno dieci ZES) deve svilupparsi coerentemente ad un disegno integrato alimentato da una forte iniezione infrastrutturale, solo così si può aspirare ad acquisire quella quota addizionale di traffici e attività produttive necessarie a garantire una crescita al riparo del rallentamento globale.
Non solo, logica vorrebbe che il riorientamento a favore del Southern Range non debba essere esclusivamente tarato sulle convenienze di costi ma sulla valutazione sempre più cogente dei vantaggi che per una quota non irrilevante dei traffici l' opzione euro-mediterranea garantisce in termini di sostenibilità ecologica ed efficienza energetica. L'UE deve tradurre in atti concreti i buoni propositi dichiarati. A questo fine, le ZES mediterranee diventano uno strumento per progredire con i fatti a realizzare obiettivi di vitale importanza.