Il clima di moderato ottimismo che si respira nel Paese rispetto alla ripresina economica in atto permette una più serena valutazione dell’utilizzo dei fondi strutturali europei destinati in particolare alle regioni meridionali. Il bilancio complessivo della politica di coesione relativo al periodo 2007-2013 presenta a nostro parere più ombre che luci al di là del facile abili rappresentato dalla devastante crisi che ha colpito le economie occidentali ed in particolare il nostro Paese. Ma a ben vedere appare chiaro che relativamente alle regioni meridionali un aggravante è da ricercarsi nei comportamenti dei responsabili dello sviluppo regionale e nella approssimazione con la quale hanno gestito le ingenti risorse a disposizione, così come emerge dalla puntuale analisi contenuta nell’editoriale di Nando Santonastaso.
Il motto della politica regionale è stato “spendere per spendere” (vedi il “famigerato meccanismo dei progetti sponda”) che sottende una grande attenzione per il consenso elettorale con investimenti “a pioggia” piuttosto che in direzione di una vera e moderna programmazione innanzitutto sul piano della predisposizione delle reti infrastrutturali richieste dal nuovo modo di produrre e dalla concorrenza globale. Basta qui ricordare che nel settore delle infrastrutture economiche il Mezzogiorno presenta una dotazione pari al 55% del Centro-Nord con punte ancora più altre relative alle reti di distribuzione dell’energia, dell’acqua e della viabilità di secondo livello. Certo, fa bene il ministro Claudio de Vincenti a sottolineare la notevole consistenza di finanziamenti disponibili nel ciclo 2014-2020 che destina al Mezzogiorno circa i 2/3 dei 100 miliardi complessivi previsti dalla politica di coesione, ma è altrettanto chiaro che senza concreti correttivi ai meccanismi della progettualità ed utilizzo delle risorse resta il rischio di vanificare forse l’ultima grande occasione per il Mezzogiorno di ridurre il suo secolare ritardo sulla via dello sviluppo.
Ed a tale proposito appare opportuno segnalare un paradosso che sottende alla ripresa economica in atto anche nel Mezzogiorno e rappresentato dai dati in controtendenza che manifesta il settore delle costruzioni rispetto ai comparti manifatturiero e dei servizi. Mentre questi ultimi presentano dati con il segno positivo il settore delle costruzioni segna il passo con un decremento della produzione (-0,4%) ancora nel mese di luglio ed una costante riduzione delle ore lavorative (-49% rispetto al 2008). Eppure a leggere i dati gli investimenti risultano in crescita e nei prossimi 15 anni sono previsti circa 100 miliardi di Euro per le infrastrutture materiali. Basta qui ricordare l’approvazione del programma ANAS da parte del CIPE ed i fondi destinati alle Ferrovie, il piano delle periferie ed il programma relativo al dissesto idrogeologico oltre che alla sicurezza delle scuole.
In sostanza, appare chiaro che sia il Governo centrale che la Comunità Europea riconoscono nel settore delle costruzioni un ruolo trainante per lo sviluppo economico e dei contesti territoriali regionali e locali. Allora, se è vero che ci sono le risorse e la volontà diffusa di rilanciare il settore delle infrastrutture appare evidente che gli ostacoli vanno ritracciati in una serie di problematiche ben note ma che tardano ad essere affrontate con tempestività e determinazione, quali l’approvazione dei tutte le linee guida relative al Codice degli appalti (ad oggi ferma a 15 su 60), la creazione di un filtro relativo alla diffusissima prassi dei ricorsi negli appalti (sono attualmente bloccati l’80% di quelli indetti dall’ANAS), l’incapacità dei Comuni di progettare le nuove opere (al momento solo 8% di quelle previste dal programma relativo al dissesto idrogeologico) ed infine all’annoso problema dei tempi dei pagamenti soprattutto degli Enti locali.
Infine se si considera la perdurante crisi della domanda di edilizia residenziale dovuta alla negativa tendenza demografica, il motore dell’economia – ovvero il settore delle costruzioni – si identificherà sempre più nella realizzazione delle infrastrutture pubbliche. Il che significa che il suo strategico ruolo di creatore di ricchezza e occupazione dipenderà nel prossimo ciclo di programmazione dei fondi strutturali dalla volontà capacità decisionale dei responsabili politici dello sviluppo locale e regionale.