E’ difficile non cedere alla retorica quando si parla di Napoli, della sua immagine, della sua storia millenaria, dello splendore delle sue incredibili risorse artistiche e naturali. Ed accostare a tutto ciò i soliti contrasti legati alle condizioni di degrado urbano di molte aree, alla disoccupazione giovanile, alla criticità della situazione economica, alla carenza di investimenti.
Il percorso dialettico, però, non si conclude quasi mai con una sintesi che provi ad individuare possibili soluzioni, ma più spesso il ragionamento viene chiuso con la ricerca di giustificazioni a questi eterni contrasti, che di frequente vengono trovati nella volontà di questo o quest’altro di impedire che Napoli emerga, o nello scarso senso di appartenenza di molti napoletani, che preferiscono cedere a personalismi piuttosto che lavorare insieme per il bene comune. E’ difficile quindi non cedere alla retorica, quando da napoletani si parla di Napoli, lasciandosi trascinare in una grandiosa esaltazione di sé, nella narrazione della città più bella del mondo, malgrado tutto e tutti.
Seguendo quindi questa retorica comune, dovendo parlare del brand di Napoli, non si può che compiacersi, giustamente, delle ultime notizie positive, dalle attività di riqualificazione del sito di Pompei e della Reggia di Caserta, all’evento di Dolce e Gabbana, all’insediamento della iOS Developer Academy di Apple presso la Federico II, all’incremento di turisti che visitano la nostra città negli ultimi mesi, tutte conferme del grande valore di Napoli e delle sue risorse. Eppure non ci si deve illudere che tutto ciò possa bastare. I colpi positivi messi a segno per il brand di Napoli, alimentando un giusto clima di entusiasmo, devono però stimolare una riflessione profonda e sincera su quello che abbiamo e su quello che ci manca, su quali debbano essere le “riforme strutturali”, prendendo in prestito un termine ultimamente abusato, di cui ha bisogno Napoli e la società napoletana, su quali siano i problemi concreti che da troppo aspettano una soluzione, e su quali possano essere le soluzioni. Ben venga quindi questo momento di riflessione promosso da ACEN, che ci aiuti a capire come rimboccarsi le maniche, come lavorare tutti insieme, ancor più di quanto non si riesca a fare adesso, per il rilancio, vero, di Napoli, oltre che della sua immagine.
Parlando di brand e di Apple, che ha da insegnare a tutti in tema proprio di brand, mi viene in mente una slide famosa usata da Steve Jobs, alla presentazione di lancio dell’i-Mac, che spiega il significato della i davanti al nome dei prodotti Apple. Oltre ad internet, quella i sta per individuo, informare, istruire, ispirare. Pensandoci bene proprio quello di cui abbiamo bisogno per costruire il rilancio di Napoli, una rinnovata metropoli che sia in grado di dare centralità ed opportunità di crescita ai singoli individui, basata sulle competenze e sulle capacità, e quindi sulla tecnologia ed ancor più sull’istruzione e la ricerca, ed in grado di ispirare il talento, grazie alle sue bellezze ed alla sua vivacità culturale. Parleremmo allora di i-Naples, strizzando l’occhio ai nostri partner di Apple? Magari no, ma solo per non apparire troppo ruffiani…
© Gaetano ManfrediRettore dell'Università di Napoli Federico II, presidente della Crui