Napoli è la terza città italiana, poco meno di un milione di abitanti. Dagli inizi del secolo scorso ha sviluppato una dinamica singolare: accogliere ed accettare nuova popolazione e nuovi insediamenti, accerchiare i nuovi insediamenti nel cerchio urbano e nelle sue vicinissime adiacenze. Creando una “corona di spine” che aumentava la densità demografica e, progressivamente, nel ventesimo secolo, deteriorava, con la sua tenaglia, l’ambiente e le sue potenzialità. In una parabola discendente a partire dalla ricostruzione dopo la guerra, al sacco edilizio, al terremoto degli anni ottanta, al degrado finale nel trapasso tra il vecchio ed il nuovo millennio. La stagione peggiore di Napoli non ha solo tratti endogeni. La “questione settentrionale” e “mani pulite” degradarono la vita del nostro paese e ne cancellarono la politica dei partiti. Decapitata e disordinata, dal 1992 al 2016, l’Italia si sfilaccia e Napoli si affloscia: anche in ragione dei traumi italiani.
Cosa resta di Napoli? La capacità di accogliere e di tollerare gli altri che vengano dall’esterno: una eredità dei traffici nel Mediterraneo che è diventata una tradizione globale del mondo contemporaneo, e che si traduce nella voglia di agire e nella capacità di fare da parte delle persone. Con due condizioni pericolose: un eccesso di azione individuale ed una decrescente capacità di fare. La seconda condizione agisce al contrario: rispetto alla normale dimensione sociologica del mondo contemporaneo. Al crescere della scalata sociale si riducono le elites capaci di esercitare la propria responsabilità, e tutelare i propri beni, ma anche i beni collettivi della città. Nel terzo millennio si sgonfia la dimensione demografica della città (il comune) mentre si accelera la voglia di fare per coloro che si insediano nel perimetro della città metropolitana. Imprenditori e risorse umane, in molti casi, si ritrovano alla ricerca dell’innovazione e del cambiamento dall’esterno della “corona di spine”. Ci vorranno anni per ritrovare equilibri ragionevoli e per ridimensionare la povertà, e la pressione della malavita, che sono molto diverse tra loro. Cosa potrebbe e dovrebbe diventare Napoli? Da una parte potrebbe uscire dalla scena disperdendo se stessa. Dall’altra creare e diventare una grande area metropolitana, protesa verso il sud e capace di attirare l’Europa: perché profuma di spezie meridionali ma contiene e conserva una grande storia di migliaia di anni. Vale la pena di incontrarla, almeno una volta nella vita, per tutti i cittadini del mondo. Resilienza ed accoglienza, adeguatamente riordinate e strutturate, sarebbero i due binari per chi vivrà a Napoli e per chi transiterà per Napoli. Se riuscirà a diventare una delle sliding door nel mondo globale.