Seconda puntata sugli edifici dell’architettura moderna a Napoli che la città rifiuta. Da qui, la solitudine che si esprime anche con l’isolamento fisico in luoghi inospitali. Isolato è il Mercato Ittico di Luigi Cosenza, la prima opera del moderno a Napoli (1929-1935) che ha aperto questa rassegna. Privo di attività, assediato sui margini dai senzatetto, ciclicamente vandalizzato, degrado diffuso dei materiali. Isolata è La Casa del Portuale (1969-1981) di Aldo Loris Rossi con progetto strutturale di Mario Lo Cascio. In parte sottoutilizzata, assenza totale di manutenzione degli esterni. Distano qualche centinaio di metri l’uno dall’altra nella parte orientale del porto, tra silos, capannoni abbandonati e gru sempre più immobili. Attendono chi se ne prenda cura, il Comune di Napoli per l’ex Mercato, la locale Autorità Portuale per la Casa.
Nel marzo di quest’anno l’opera di Rossi ha avuto dedicati la copertina e un lungo articolo di Davide Vargas sulla storica rivista internazionale Domus. Analogo interesse mostrò Gillo Dorfles che coniò il termine “neobarocco” per designare la prorompente energia dei piani e dei volumi che si espandono nello spazio. Del tutto atteso poi, l’entusiastico commento di Bruno Zevi, mentore di Rossi. Un’opera, dunque, di rilevante interesse storico-critico, citata in storie dell’architettura e riviste ma, oggi, con due seri problemi.
Il primo, funzionale: solo due dei nove piani sono utilizzati dalla Cooperativa dei lavoratori portuali che nel corso dei decenni ha visto scendere i soci dai 1200 degli anni Novanta ai 65 attuali; altri quattro piani sono occupati da società che lavorano nel porto; due sono inutilizzati, al pari di alcuni grandi spazi nel livello basamentale. Il secondo, strutturale: l’adozione originaria del cemento “a faccia vista” richiede una costante e costosa manutenzione che in oltre quarant’anni di vita non c’è mai stata. Va aggiunta inoltre la rimozione, senza sostituzione, degli alti ed elaborati comignoli usurati dal tempo. Questa mutilazione fa perdere slancio verticale a tutta la struttura e crea al contempo infiltrazioni all’interno.
Il destino di questo edificio è, naturalmente, nelle mani della proprietà. L’Autorità Portuale deve prendere atto che la Casa del Portuale merita un futuro diverso da quello che si sta prospettando. Occorre avviare due iniziative. Un piano di valorizzazione del bene architettonico che miri alla piena utilizzazione degli spazi e funzioni compatibili con il valore e la tipologia dell’edificio. La destinazione ad uffici o funzioni analoghe s’è rivelata la più idonea. Contemporaneamente, è necessario predisporre un progetto di restauro e consolidamento, aggiornando anche l’impiantistica.
La Fondazione Annali dell’Architettura e delle Città, l’Istituto Nazionale di Architettura, sezione Campania, l’Associazione Nazionale Ingegneri e Architetti Italiani e l’Associazione Italiana per la documentazione e la conservazione degli edifici e dei complessi urbani moderni, sono disponibili ad una collaborazione. Segnalo infine che esiste un’accurata tesi di laurea in Architettura sul restauro della Casa redatta da Davide Galleri, relatrice la Prof. Renata Picone.
Crediti fotografici: Domus n.1066 Marzo 2022