Le città cambiano, ed anche molto velocemente. Alle trasformazioni dello spazio fisico, della forma urbana così come delle modalità d’uso del territorio e delle relazioni che si istaurano tra i luoghi e le comunità di persone insediate in quei luoghi, non sempre corrispondono, con eguale velocità e capacità di adattamento, la consapevolezza dei mutamenti intervenuti, oltre che della comprensione delle nuove fenomenologie manifestatesi. Così pure le categorie interpretative tradizionali, utilizzate per decifrare la natura dei cambiamenti e delle tendenze in atto, rischiano di risultare totalmente sconnesse dalla realtà e dagli avvenimenti che si susseguono, con ritmi incalzanti e scenari sempre mutevoli.
Accade così che, nelle nostre città alle prese con dinamiche sconosciute fino a solo pochi anni fa, si continuino, da parte di molti, ad applicare strumenti, anche solo conoscitivi, obsoleti, e rifugiarsi in narrazioni astratte o autoreferenziali.
È del tutto evidente, ad esempio, che categorie quali la rendita fondiaria, e tutto ciò che ne deriva in termini di scontro tra portatori di interessi legati alla speculazione edilizia, rischiano, in un contesto oggi così mutato, di apparire fuori tempo massimo. Ed è quasi paradossale che, al contrario, nelle nostre città – quelle italiane in particolare, e Napoli tra le prime – dove il problema è tutt’altro che quello di individuare suoli liberi da urbanizzare, la vera contesa si sia spostata dalla valorizzazione degli immobili privati all’uso, o eventuale abuso, di quelli pubblici, edifici e aree pubbliche.
Nelle città dense, nell’acquisita consapevolezza della necessità di riduzione del consumo di suolo (determinato anche da una serie di fattori quali la crisi demografica e la modificazione della struttura sociale del nostro Paese), nella affermazione di nuovi paradigmi quali la priorità assegnata a politiche volte alla rigenerazione urbana, nuove forme di conflittualità ed antagonismo hanno finito per sostituirsi a quelle tradizionali, e l’uso dei beni pubblici, o comuni come usa dirsi ora, sono diventati tema centrale, in uno a quello del diritto alla città.
L’utilizzazione, se non l’occupazione violenta, di un immobile pubblico, come surrogato di un processo più ampio di socializzazione e condivisione, all’interno di scenari di urbanistica partecipata, così come l’appropriazione diffusa di strade e piazze cittadine, con modalità e tempi spesso fuori da ogni regola ed equilibrio, costituiscono sempre più frequentemente i terreni di scontro tra categorie di cittadini, idee e visioni di città, interessi economici reali. Le forme esasperate in cui si manifestano queste fenomenologie (sino ad episodi di vera e propria criminalità) non sono del tutto inedite nella storia millenaria delle città, ma di certo oggi rappresentano la nuova frontiera su cui si misurano le politiche urbane, in tema di conservazione e valorizzazione dei tessuti storici, di sviluppo economico e di crescita, come nel settore del turismo, di sicurezza e qualità della vita dei residenti.
Tutte questioni che reclamano una più incisiva capacità di governo dei processi e di regolazione, e mediazione, tra i tanti attori in campo e non, di certo, la delega ad una sorta di autodeterminazione o presunta autonomia, come pure sembra essere la strada scelta dall’attuale Amministrazione Comunale di Napoli, che proprio su questo tema vorrebbe porsi come modello internazionale e laboratorio di sperimentazione di nuove pratiche sociali