È normale che il sentimento immediato fluttui dalle parti di uno scorato rimpianto. Ma se si vuole dedicare qualche riflessione non scontata al fenomeno della caduta verticale del consumo degli spettacoli e in particolare del cinema sarebbe indispensabile essere un poco più lucidi e molto più realisti: mai come nell’attuale e drammatica situazione, infatti, abbiamo dovuto subire l’ingente dose di retorica e d’ipocrisia insinuatasi nelle sia pure comprensibili reazioni degli addetti ai lavori, dei funzionari delle istituzioni deputate, degli intellettuali e soprattutto degli spettatori, da quelli occasionali a quelli abituali.
Se, però, le sale già negli ultimi anni non funzionavano più come templi riservati a un rito inderogabile, la colpa non era del Covid. Se la (oggi) tanto conclamata “fame di cultura” condivisa, di presenza fisica e di scambio reale stavano scemando di stagione in stagione, la colpa non era del Covid. Se il box office inesorabilmente sentenziava che, esclusi i cinefili incalliti e i giovani tra i 18 e i 24 anni, ben pochi adulti staccavano ormai il biglietto, la colpa non era del Covid…
Avanzando, allora, un paradosso non troppo gratuito, si può ipotizzare che le soluzioni alternative sperimentate come ultimo tassello del processo già in corso per fronteggiare lo tsunami culturale e soprattutto industriale (si parla troppo poco dei lavoratori del settore che non possono permettersi lamentele a vuoto e devono piuttosto barcamenarsi tra ristori, CIG, pagamenti e progetti di riapertura) siano merito del Covid; nel senso che sarà d’ora in poi arduo negare la comodità e la pertinenza dei festival e i convegni in streaming, le prime visioni online, i webinar sul futuro del cinema, le conferenze su Skype e Zoom o i progetti di sale virtuali mirati a ottenere la partecipazione di molti più spettatori nonché a prefigurare, assecondando un bisogno insito nella natura sociale dell’essere umano, un futuro mix tra presenze in sicurezza in sala e accessi più fluidi e consapevoli all’universo digitale. Cambierà inoltre –anche se ferisce il nostro passato di cercatori di perle nelle sale periferiche o nei cineclub da scantinato- la formazione dei nuovi cinefili che stanno perfezionando la loro conoscenza dei classici e dei cult movies grazie alle visioni domestiche valorizzate dai supporti hardware sempre più affidabili e versatili; mentre si consoliderà l’ulteriore vantaggio di potere vedere su Sky o Netflix tanti film di cui i critici continuano a parlare ancorché non siano programmati e quindi risultino invisibili pressoché in tutto il territorio nazionale.
Senza dimenticare che un numero sempre crescente di cineasti importanti stanno rivolgendosi sempre più spesso al popolo dello streaming perché immensamente più grande. Le suddette aziende, avversate da alcuni come simbolo incarnato del male alias capitalismo neoliberista hanno, al contrario, reso plausibile il sogno di rendere l’arte e il cinema un bene primario perché, riflettendoci al di fuori degli umori viscerali, non tutti hanno la possibilità di andare nelle sale, alle mostre o nei musei: quando la televisione cominciò a spuntare in tutte le case si scatenarono polemiche altrettanto furibonde e non furono pochi a prevedere l’imminente morte di tutte le forme di spettacolo “alto” perché tradizionale e viceversa. Forse per una disperazione finora a stento dissimulata, azzardo a spingermi persino al di là del luogo comune (peraltro fondato come tutti i luoghi comuni) eretto come linea Maginot della nostra condizione di studiosi e appassionati reduci della generazione del dopoguerra suggerendo che la mancanza di “aura” delle visioni sullo schermo tv con acclusa condanna alla distrazione e al torpore non costituiscono affatto una verità rivelata.
Tutto questo per chiedersi, senza ricorrere alle intemerate che non costano niente e servono ancora meno, se i lockdown siano stati batoste improvvise o piuttosto le micce che hanno innestato l’esplosione di un processo in atto.
Siamo convinti, è bene dirlo, che la sala non scomparirà mai del tutto, ma anche che sarà molto meno frequentata e diventerà congeniale soprattutto ai raduni di fan, agli eventi eccezionali, al 4D. Non è detto, insomma, visto che è impossibile slanciarsi in previsioni inconfutabili e che l’essere umano si è sempre attivato per semplificarsi la vita in ogni ambito, che meriti una condanna inappellabile il fare di necessità virtù acquisendo la capacità di rimodellare il proprio immaginario per potersi emozionare, rallegrare, indignare, stupire restando in casa seduti sul divano o, ancora più intelligentemente, usufruendo, un po’ come è successo con gli ebook, di un mini-cinema “da asporto”, tascabile, sempre pronto ad accompagnarci dovunque.
© Valerio CapraraStorico e critico del cinema