Il ministro della Coesione territoriale e del Mezzogiorno Claudio de Vincenti si arrabbia quando si dice che i fondi strutturali europei sono sussidiari della spesa pubblica italiana . E spiega puntigliosamente che degli oltre 100 miliardi di euro previsti dalla Politica di coesione per il ciclo 2014-2020 molto più della metà sono in realtà nazionali, tra risorse in co-finanziamento dei fondi Ue e soldi specifici di Sviluppo e Coesione. E che quasi due terzi sono destinati al Mezzogiorno, tra Regioni dell’obiettivo convergenza e riserva dell’80 per cento per il Sud delle politiche di coesione.
Il ministro non ha tutti i torti almeno sul piano contabile e della spesa per investimenti. Il fatto è, però, che i numeri raccontano solo in parte il peso, spesso indispensabile (ma non sempre qualitativamente giustificato) dei quattrini di Bruxelles . Non è un mistero per nessuno che nella spesa relativa al ciclo 2007-2013 il grosso degli impegni sia avvenuto nel 2015, in tempo per lo strano regolamento comunitario (che permette di chiudere le rendicontazioni entro i 30 mesi dalla scadenza del ciclo stesso) ma con uno scarto spesso impressionante tra progettualità e utilizzo delle risorse. La corsa contro il tempo che ha prodotto un’accelerazione record degli impegni, pena la loro restituzione all’Ue, ha portato sì alla saturazione della spesa ma con un ricasco in termini di sviluppo quasi inesistente. Si sono spesi soldi, anche grazie al famigerato meccanismo dei progetti sponda, per pavimentazioni stradali, eventi più o meno cultural-turistici, reti di illuminazione, impianti fognari e per tutto ciò che la politica è riuscita a mettere in campo “pur di non perdere i fondi”.
Naturalmente non sono mancati casi meno discutibili e non si può nemmeno colpevolizzare solo gli amministratori pubblici del Sud dal momento che il fenomeno, sia pure in proporzioni minori, è stato comune anche al Settentrione . Ma è un dato che quei finanziamenti hanno comunque tamponato le falle di un sistema di spesa pubblica quasi al collasso, con il taglio progressivo dei trasferimenti dallo Stato agli enti locali e l’effetto dirompente della crisi economica, a dir poco drammatica per il Mezzogiorno.
Il nuovo ciclo della Politica di coesione sembra però averne preso atto: nel senso che a livello europeo si è deciso, nel gettare le basi della nuova programmazione 2014-2020, di ridurre gli ambiti di intervento, di potenziare la fase della progettazione (forse il vero tallone d’Achille delle amministrazioni locali, specie al Sud) e di concentrare le risorse su poche ma chiare priorità , sempre e comunque “in aggiunta” e non in sostituzione delle risorse nazionali. Insomma, gli investimenti e le linee-guida toccano allo Stato, la cornice per così dire all’Europa. E per dare il buon esempio, ecco la scelta del governo di puntare sui Patti per il Sud per destinare risorse nazionali della Politica di coesione ad opere infrastrutturali (per la verità spesso si tratta di completamenti e non di nuova progettazione) che non potranno essere “garantite” dai fondi europei. E così, ancora, ecco il rilancio degli investimenti attraverso misure come il credito d’imposta che sono “altro” rispetto alla vecchia abitudine, parente stretta di un vecchio modo di fare politica, di affidarsi solo ed esclusivamente a Bruxelles.
Il tempo dirà se siamo ad una vera e propria svolta, anche culturale: intanto va considerato che a quasi 4 anni dall’avvio del nuovo ciclo di programmazione, si è impegnato solo il 30 per cento delle risorse disponibili, Nord compreso . E’ vero, se fino a due anni fa si era ancora alle prese con l’altro ciclo e i suoi ritardi, era quasi impossibile fare di più. Ma la sensazione è che il nemico sia sempre dietro l’angolo e che il vizietto italiano di trovare alibi per giustificare superficialità, tempi infiniti e interessi privati specialmente con i soldi altrui, non sia affatto tramontato. Servirebbe, allora, una forte e motivata capacità dei professionisti di non prestarsi a questo gioco, rivendicando qualità di idee e di progetti nel rapporto con il decisore politico.
Servirebbe quella visione alta e soprattutto competente delle scelte e della prospettiva di sviluppo che per troppi anni è rimasta ai margini, costretta a ingoiare amaro e mortificata dall’arroganza e dagli orizzonti limitati di gran parte della classe politica . Ora che la ripresa sembra tornata a fare capolino anche al Sud varrebbe la pena di recuperare spazio e autorevolezza.