Prima di cercare di inquadrare i problemi sociali comuni alle periferie di una città estesa e complessa come Napoli, è necessario riflettere sul concetto stesso di “periferia”. Fino a qualche anno fa era relativamente semplice individuare la periferia sotto il profilo geografico ed economico: una zona ai margini della città, un’area periferica rispetto al baricentro della vita cittadina, popolata anche densamente da strati sociali in condizioni per lo più di indigenza.
Oggi che la nostra società è divenuta più complessa e che l’economia stessa si è trasformata con la diffusione di modelli di lavoro precario, spesso ai confini od oltre la legalità, la marginalità sociale ed economica si è diffusa a macchia di leopardo nel tessuto cittadino, non più limitandosi alle periferie.
La marginalità di tanti strati sociali è oggi individuata come povertà educativa, riflettendo fenomeni diversi: la scomparsa di Ideali solidi di riferimento di una comunità, sostituiti dagli interessi particolari dei singoli individui, il consumismo esasperato, la marginalizzazione della scuola e del ruolo degli insegnanti, la sopraffazione della Cultura da parte di modelli edonistici veicolati dai nuovi media. Sono questi solo alcuni dei cancri che penetrano la moderna società e che trovano fertile terreno laddove la presenza dello Stato è più labile e dove le “sirene del facile guadagno”, proprie dell’economia sommersa, hanno una maggiore presa. E’ proprio in questi contesti che si innesca la spirale viziosa cui stiamo assistendo: la carenza di mezzi e stimoli culturali alimenta la precarietà economica, questa a sua volta genera modelli di vita “alla Gomorra” che sfociano a loro volta in ulteriore sottocultura.
Qualche numero mi aiuterà ad esprimere meglio questi concetti.
Secondo una ricerca condotta nel 2018 da Save the Children, in Campania il 64% dei ragazzi non ha letto un libro nell’ultimo anno, il 55% non ha mai visitato un museo, il 41% non fa sport, il 46% è iperconnesso ad internet. Ora, se connettersi continuamente al web non è necessariamente un sintomo di sottocultura, sostituirlo allo sport probabilmente non è salutare per un ragazzo né sotto il profilo fisico che di sviluppo della sua socialità, mentre i dati sulla lettura di libri e la frequentazione di un museo sono più che preoccupanti.
Immaginiamo di trasferire questi dati in un quartiere certamente non periferico di Napoli come il Rione Sanità: 50.000 abitanti racchiusi in meno di 5 km2, senza un cinema, una palestra, né un giardino pubblico. Oppure in una Scampia, con i suoi 40.000 abitanti ed una disoccupazione del 60%, quartieri entrambi con un’evasione dalla scuola dell’obbligo ben superiore al 30%. Quale pensate possa essere la condizione di vita attuale e le prospettive di crescita futura di un adolescente che vive in uno di questi quartieri? E, ancor più importante, cosa si può fare per arginare la spirale viziosa della povertà educativa e cercare di dare una speranza di un futuro dignitoso a questi giovani?
I modelli di riferimento non mancano.
La rete di cooperative sociali promosse dal parroco Antonio Loffredo del Rione Sanità ha innescato un circolo virtuoso in cui lo sviluppo di un’economia turistica locale ha trainato l’occupazione giovanile e sviluppato l’orgoglio di tanti ragazzi del quartiere. Così come il ring che lo stesso padre Loffredo ha posizionato nella sagrestia della basilica ha consentito a tanti giovani della Sanità di evadere dalla monotonia praticando uno sport fisico come la boxe, significativamente allenati dagli atleti della Polizia.
Fra le molte attività sociali promosse da privati nel quartiere, la “Scampia che vince” è un’associazione sportiva di karatè che ha portato i suoi atleti a primeggiare in campionati italiani ed internazionali e finanche alle olimpiadi: vincono in uno sport che sviluppa la difesa, in contrasto con la violenza e l’aggressività che li circonda.
A questi modelli ed a questi interlocutori si rivolge da undici anni la Fondazione Alessandro Pavesi ONLUS coinvolgendo ogni anno oltre 500 giovani con la presenza quotidiana nelle scuole e nelle aree disagiate della città: crediamo che il rispetto delle regole, lo sviluppo della cultura e delle relazioni rappresentino un’opportunità di crescita e riscatto in contesti dove la povertà non è solo economica, ma anche e soprattutto educativa.