‘Reporting from the front’ è il tema proposto daAlejandro Aravena, il curatore della 15a Biennale di Architettura di Venezia, attualmente in corso. Un “bollettino dal fronte” che comunica a tutti la necessità di recuperare il significato sociale dell’Architettura, come strumento irrinunciabile per migliorare la qualità della vita delle persone attraverso la qualità dell’ambiente edificato, specie quando si lavora in circostanze difficili, in zone al limite, nei sud del mondo. Esaurita la fase prevalentemente autoriale di questi decenni, con le archistar e le loro architetture eclatanti che non si pongono il rapporto con il contesto, che scansano le compatibilità economiche o ambientali , è il momento per l’architettura di recuperare un concetto di qualità diffusa, di attenzione per l’ambiente e il paesaggio, di contenimento dei costi, dopo la sbornia degli ultimi anni, dalle Nuvole di Fuksas, ai Ponti di Calatrava. Aravena recupera un tema che sembra preso direttamente dagli anni Settanta del secolo scorso, per tentare di ampliare la riflessione sull’architettura, ripartendo da una condizione eteronoma della disciplina che guarda al disagio sociale, al recupero delle aree degradate, e rilanciando in qualche modo il significato politico dell’architettura, nel quale si reclama una sorta di ‘diritto pubblico alla bellezza’ introducendo, tra l’altro, una nozione più ampia di guadagno, quella per cui il progetto di architettura può rappresentare un valore aggiunto piuttosto che, semplicemente, un costo aggiuntivo. In realtà Aravena, primo architetto cileno insignito con il Pritzker Prize nel 2016, il Premio Nobel dell’Architettura, acquisisce notorietà internazionale con Elemental, un progetto di architettura residenziale a basso costo realizzato in Cile nel 2004, nella città di Iquique. Un progetto sperimentale di alloggi per 93 famiglie al costo iniziale di 7.500 dollari per ogni alloggio che verrà poi modificato dagli interventi di autocostruzione degli abitanti, coinvolti anche nella fase di progettazione attraverso un articolato percorso di partecipazione attiva dove, fissando i caratteri del progetto iniziale, viene governato, all’interno di laboratori di progettazione partecipata, un processo di ampliamento e di modificazione anche utilizzando frammenti delle case originarie. Elemental è un’architettura aperta, inclusiva, che contiene e governa le modificazioni successive, quasi le richiede. E l’architetto assume il ruolo di mediatore dei processi partecipativi, orientando le scelte secondo una sintassi governata degli sviluppi formali e spaziali delle abitazioni. Succedeva anche in Italia negli anni Settanta, quandoGiancarlo De Carlo sperimentava con il Quartiere Matteotti a Terni il primo caso di progettazione partecipata in Italia, e poi Renzo Piano che costituiva ilLaboratorio di Quartiere nel centro storico diOtranto nel 1979, poi ripreso nel 1981 nel quartiere Japigia di Bari. È più recente l’iniziativa del ‘rammendo delle periferie’ proposto sempre da Renzo Piano da senatore a vita con il gruppo di giovani progettisti, ‘g124’. Oggi assistiamo a un moltiplicarsi di queste esperienze che mostrano una nuova linea di tendenza, per recuperare in qualche modo, attraverso una sorta di legittimazione sociale, il ruolo originario dell’Architettura, anche se con una minore attenzione alla ricerca linguistica e il rischio, sempre dietro l’angolo in questi casi, di un eccesso di retorica. Probabilmente per l’Architettura è questo un passaggio culturale necessario per ridefinire assetti disciplinari e nuovi orizzonti di senso, in un momento nel quale anche il nuovo Codice degli Appalti, da poco approvato, stenta a riconoscere al progetto di Architettura il ruolo culturale che storicamente gli appartiene.
In questo numero ospitiamo, per la sezione locale, un progetto che stavolta non si trova a Napoli, ma è stato realizzato in provincia di Avellino, ad Altavilla Irpina, ed è l’esito di un Workshop di Progettazione dal titolo UPDATE #05, condotto nel 2015. Si tratta del progetto di sistemazione di un’area che si trova appena fuori dal centro storico denominata ‘A Funtana Abbascio’, ed è stato attuato attraverso un processo partecipativo che ha coinvolto tutta la popolazione del piccolo centro, dai sa.und.sa. architetti, un gruppo di giovani progettisti campani che si occupa prevalentemente di progettazione partecipata, di autocostruzione e di recupero dello spazio pubblico. Attualmente vivono e operano a Berlino.
Per le esperienze internazionali, sempre riferite al tema trattato, ospitiamo in questo numero il progetto di un asilo realizzato alla periferia di Bogotà in Colombia dal giovane architetto Giancarlo Mazzanti. Un’area difficile, un sud “molto più a sud di Napoli”, dove un’architettura pubblica diventa presidio di civiltà, riuscendo a riscattare la marginalità e il degrado di un’area periferica e a definire una nuova qualità urbana.