Tutte le città possiedono un futuro, a patto di volersene dare uno. Ma se per ventura, in una di esse, i propri abitanti smettono, anche solo per un momento, di guardare lontano, di immaginare ciò che la loro comunità, e il luogo in cui hanno scelto di abitare, potrà diventare negli anni a venire, impegnandosi a contribuire perché questo accada, allora quella città è come se si fosse privata di una dimensione, della prospettiva di emanciparsi dal tempo in cui vive, di costruire un destino per sé e per le generazioni future.
Un luogo in cui non sembri possibile guardare oltre la quotidianità difficile in cui tutto è ricondotto (il lavoro che manca, ma questo è un problema non specificamente urbano, la mobilità e la sicurezza negate, la qualità della vita ai minimi livelli, le infrastrutture e le attrezzature pubbliche scadenti, e così via) e che, anche per questo, si volga continuamente indietro a rimirare con nostalgia ciò che fu un tempo, ecco Napoli appare sempre di più come una figura patetica, una sorta di nobildonna decaduta che per poter sopravvivere è costretta ritualmente ad impegnare ciò che resta del suo patrimonio, qualche pezzo di argenteria o di mobilia.
Il fatto straordinario è che, nonostante i cicli della recessione e lo spettro del declino siano lenti, appartengano per così dire al tempo della lunga durata, la possibilità di ripresa, la prospettiva di un nuovo inizio e, quindi, di costruire un futuro diverso sono sempre a portata di mano. Sono davvero tante le storie di successo, anche recenti, di città già condannate nel giudizio e dall’immaginario popolare come luoghi in declino e poi, improvvisamente, ricomparse sulla scena internazionale come metropoli glamour, attrattive, insediamenti per comunità felici e laboriose. Da Medellin, in Colombia, trasformatasi da enclave dei narcotrafficanti a capitale sudamericana della cultura, alle tante città nord-americane della Sun e della Rust-belt (come ad esempio Pittsburg), dalla stessa Marsiglia a Bilbao, da Manchester a Istanbul, l’elenco è lungo e ricco di centri titolati e luoghi che hanno fatto la storia dei loro paesi. Appunto la storia, intendendo che non si sono fermati a contemplarla ma hanno, tutti, deciso di continuare a scriverla.
È la contemporaneità la dimensione che ancora manca a Napoli, ma soprattutto di cui si fa fatica a intravedere la voglia di condividerla, di impossessarsene. Si può discutere a lungo su quali caratteri potrà avere la Napoli del futuro, come ridisegnarne ruolo ed identità, ma finché non si scorgerà neanche l’inizio di questo confronto, la voglia di partecipare a questa discussione prima ancora delle idee da mettere sul tavolo, sarà sempre difficile invertire la tendenza, andare oltre la polemica sulle responsabilità del declino ovvero la nostalgia per i primati di un tempo che fu.